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giovedì 19 luglio 2012

Carlo O. Gori. Dopoguerra. L'attentato a Togliatti: quel luglio 1948 in Toscana


Toscana: luglio 1948 

Sessant’anni fa alle 11,30 del 14 luglio 1948, a Roma, poco fuori Montecitorio, uno studente siciliano di destra, Antonio Pallante, sparava al segretario del partito comunista Palmiro Togliatti, ferendolo gravemente.
Il giornale radio delle 13 diffonde la notizia e subito l’Italia viene scossa dal più grande sciopero generale politico della sua storia, scoppiato ovunque in modo spontaneo e caratterizzato da gravissimi disordini.
Nel pomeriggio la Direzione del PCI chiederà in un comunicato le dimissioni del governo “della discordia, della fame e della guerra civile”, mentre solo alle 24 la maggioranza socialcomunista della CGIL prenderà atto della situazione proclamando ufficialmente lo sciopero.
Che ruolo svolse la “rossa” Toscana in quelle “calde” giornate di metà luglio 1948? Certamente di primo piano se Abbadia San Salvatore sul Monte Amiata è generalmente considerato il luogo in cui avvenne il più clamoroso episodio di rivolta nel Paese e se, viceversa, ad un toscano, il “bianco” Gino Bartali, molti attribuiscono il merito di aver decisamente contribuito a far sbollire la tensione attirando l’attenzione degli sportivi di qualsiasi colore politico sulle sue insperate vittoriose performances al Tour de France. Per i più giovani è giusto ricordare che allora circolavano poche auto e moltissime biciclette ed anche per questo il ciclismo contendeva al calcio il primato di sport più popolare, mentre il Tour, che allora si correva per squadre nazionali  era, come oggi, la corsa a tappe più prestigiosa al mondo.
Ma al di là di queste due note e spesso enfatizzate vicende, cosa accadde? Per comprendere meglio anche quel che avvenne in Toscana occorre premettere che l’attentato fu indubbiamente il prodotto delle tensioni politiche che avevano segnato una campagna elettorale di eccezionale asprezza, condotta dalla DC e dalla Chiesa nel segno di una “crociata” anticomunista e conclusasi il 18 aprile con la sconfitta del Fronte Popolare. Sentimenti di esasperazione e frustrazione tuttavia erano già presenti nella sinistra a causa della difficile situazione economica e per altri avvenimenti politici: “Resistenza tradita”, rottura del fronte antifascista ed espulsione dei social-comunisti dal governo, ecc. In questo quadro poco rassicurante il militante comunista , ricordando la strage di Portella delle Ginestre del 1° maggio 1947, pensa subito che l’attentato al suo indiscusso e prestigioso leader, molto stimato da Stalin, sia preludio ad una sorta di golpe governativo, ispirato dagli USA e dai circoli clerico-reazionari, mirante a mettere fuorilegge il PCI. Ecco che allora in quel luglio, nei centri di più forte tradizione resistenziale, al Nord come in Toscana, senza aspettare ordini da Roma, la gestione della crisi viene assunta da una sorta di “partito parallelo” guidato dagli ex-partigiani che sostanzialmente non avevano disarmato. Un’organizzazione, la cui esistenza fu poi ammessa da vari dirigenti del PCI, preposta a difendere il partito e le libertà democratiche, ma che per un incontrollabile “eccesso di risposta”, avrebbe anche potuto assumere un ruolo rivoluzionario. Del resto si è poi saputo che anche nel fronte opposto esistevano gruppi clandestini addestrati per entrare in azione in caso di una rivoluzione comunista o di una invasione sovietica.
In quei giorni su tutte le strade toscane sorgono posti di blocco presidiati dai dimostranti e si può circolare solo col lasciapassare delle organizzazioni contadine ed operaie come ad es. succede a Colle Val d’Elsa all’ordinario militare mons. Ferrero di Cavallerleone: “Tutti i passeggeri sono stati obbligati a scendere e condotti alla locale Camera del Lavoro. Qui l’ordinario militare è stato riconosciuto da un capitano dei carabinieri e subito rilasciato…[poi] è stato fermato un’altra volta a Volterra ma è stato fatto ripartire subito.” Si evince inoltre, da questa cronaca de “La Nazione” del 17.7, che forze dell’ordine, laddove non hanno uomini e mezzi per contrastare i dimostranti… si adeguano. Si verificano anche casi di fraternizzazione come accade a Siena dove tre autoblindo della polizia cercano di affrontare i circa 400 dimostranti che assediano il Monte dei Paschi: ad un tratto esce dalla torretta un agente che si qualifica come ex-partigiano lombardo e chiede come comportarsi ai dirigenti comunisti presenti. I blindati in quel caso verranno ritirati, ma pochi giorni dopo quel poliziotto sarà prima picchiato dai colleghi, poi sottoposto a procedimento disciplinare e congedato. In altri frangenti e con varie modalità si cerca di neutralizzare le forze dell’ordine, scriverà infatti “L’Unità” del 20.7: “a Firenze le forze di polizia sono rimaste consegnate nelle caserme”, mentre a Prato “la polizia [che] aveva proceduto all’arresto di due operai … poi è stata costretta a rilasciarli dietro la pressione …delle masse popolari sulla caserma [e] non è più intervenuta”. Anche ad Arezzo i manifestanti impongono la liberazione dal carcere di alcuni attivisti arrestati nei mesi precedenti durante manifestazioni, scioperi e occupazioni di fabbriche e lo stesso accade nella “bianca” Lucca dove, nota “L’Unità” del 21.7 “Tanto il Prefetto, come il Questore … aderivano al rilascio dei lavoratori in arresto arbitrario”. Laddove non è possibile fraternizzare o neutralizzare si hanno scontri aperti come avviene, in frangenti diversi da quelli ricordati, nella stessa Siena, oppure a Certaldo, dove i carabinieri respingono un assalto alla loro caserma, mentre a Livorno gruppi di manifestanti sparano alle camionette della Celere nei pressi del monumento dei Quattro Mori, dove muore in circostanze mai chiarite l'operaio disoccupato Corrado Neri, e lungo la ferrovia per Vada. 
Particolarmente gravi gli incidenti nella città labronica: in piazza della Repubblica una colonna preceduta da due carabinieri in motocicletta e seguita da un’autoblindo e dai camion della Celere viene bloccata dai dimostranti che saltano addosso ai carabinieri e danno fuoco alla motocicletta; poco prima in via De Larderel era stato accoltellato ed ucciso il poliziotto Giorgio Lanzi: per ironia della sorte si era arruolato nel 1945 dopo avere combattuto come partigiano durante la Resistenza ed era uno dei pochi agenti iscritti al PCI non ancora “epurati” da Scelba.
Nelle campagne toscane le leghe di mezzadri e braccianti in lotta per la stipula di nuovi patti agrari, approfittano della situazione per occupare le aziende e trattare “da pari a pari” col padronato. Per tutti un caso emblematico, quello accaduto nella zona di Montepulciano all'agrario Giuseppe Mucciarelli la cui villa viene invasa da una folta delegazione che chiede la revisione dell'accordo sulla divisione dei cereali: il Mucciarelli cerca inutilmente di imporsi, poi telefona al maresciallo dei carabinieri invocando soccorso, ma quest’ultimo gli risponde che, con quello che sta succedendo in giro, non ci pensa neppure a mandare i suoi uomini per quella che ora gli appare come una normale trattativa sindacale, per cui, alla fine, il Mucciarelli si rassegna a firmare l'accordo.
Se questo accade nelle aziende agricole, nei centri urbani grandi e piccoli le sedi confindustriali o “clerico-fasciste” sono sotto assedio un po’ ovunque. 
Ad esempio “La Nazione” del 17 luglio riporta che a Pistoia nella “sede della DC, in via de’ Rossi. I locali venivano messi a soqquadro e le carte incendiate sulla via” e mentre a Piombino “Le sedi della Dc e dell' Azione cattolica sono distrutte”, a Pontassieve viene devastata la sezione delle ACLI. 
Se ad Arezzo i dimostranti riescono a distruggere solo i giornali murali posti “dinanzi alla sede della DC”, a Firenze un gruppo di manifestanti irrompe nei locali dell' Associazione industriali, mettendoli a soqquadro e distruggendo “arredi, macchine e attrezzature”, mentre un altro gruppo assalta in via de' Servi la sede del MSI: “Gli uffici …vengono devastati, molto materiale viene portato via, a cominciare dagli elenchi degli iscritti, poi i locali vengono dati alle fiamme”. 
Del resto un po’ in tutta la regione i fascisti o presunti tali e i loro familiari sono praticamente costretti agli arresti domiciliari; a Pisa esce invece di casa, e suo malgrado, uno studente universitario ventenne, Vittorio Ferri, iscritto al MSI che viene ucciso dai dimostranti. Alcune fonti assicurano che, desiderando emulare il gesto di Pallante, si impadronisse di una carrozza di piazza lasciata incustodita e sparasse sulla folla che in p.za Cavalieri stava assistendo al comizio del sindacato, mentre altre fonti asseriscono salisse sulla carozza per sfuggire ad alcuni manifestanti che in una strada adiacente l’avevano riconosciuto e inseguito.
Dunque mai come in quelle giornate in Toscana, come nel resto del Paese, il “segno” che avrebbe fatalmente aperto scenari greci fu più volte sul punto di esser passato (forze contrapposte spingevano per situazioni di “non ritorno”), ma alla fine il buonsenso prevalse: informali contatti fra governo e sinistra chiarirono che non c’era nessuna intenzione di effettuare un golpe anticomunista, mentre da parte della direzione nazionale del PCI, anche su indicazione di Togliatti, le cui condizioni andavano migliorando, si assicurò che si sarebbe fatto tutto il possibile per riportare la situazione nella legalità. Del resto l’ambasciata sovietica era stata subito chiara con i dirigenti comunisti: in caso di rivolta nessun aiuto sarebbe potuto venire da Stalin. Gli accordi di Yalta sulla spartizione dell’Europa avrebbero infatti “funzionato”, pena lo scatenarsi di un terzo conflitto mondiale, per tutta la durata del confronto Usa-Urss.
Il 16 luglio, alle ore 12, lo sciopero generale termina: “il via”, tanto atteso da gran parte della base del PCI, non c’è stato, né ragionevolmente ci poteva essere, ed anche nella nostra regione il Centro del partito, con l’invio da Roma di noti dirigenti toscani come Ilio Barontini, Alfredo Scappini, Vittorio Bardini, ecc., può, seppur faticosamente, far “rientrare” la situazione.
Il PCI esce da questa dura prova politicamente indebolito: mentre De Gasperi e Scelba rimangono, rafforzati, al loro posto, all’interno della CGIL i democristiani avviano la scissione e nel PSI le correnti autonomiste riprendono fiato.
Resta aperta la questione della rivolta di Abbadia S. Salvatore dove, com’è noto, i dimostranti avevano assediato la strategica centrale telefonica e dove erano stati uccisi due poliziotti. Situazione che registrerà un ulteriore tragico strascico il 18 luglio in via di Città a Siena quando, in occasione dei funerali degli agenti uccisi, morirà il capolega della Federterra Severino Meiattini. Ma nel caso dell’Amiata, come ha notato Anna Rita Gori nel n. 54 di “Microstoria”, “l’arrivo massiccio della polizia e la conseguente fuga in montagna di molti dimostranti segnarono il punto di non ritorno della vicenda” che, al di là dell’oggettiva gravità dei fatti, fu però strumentalizzata da Scelba per accreditare lo schema: “Pci = pericolo per la democrazia” e scatenare una reazione che servisse da monito per il futuro. Tra le varie sommosse esplose in quel luglio in Italia il ministro degli Interni scelse proprio quella amiatina perché passare al setaccio ed imporre il silenzio ad un’intera popolazione era operazione più semplice da effettuare in un paese isolato a 800 metri d'altezza, che invece in una grande città, come ad es. Genova dove, come ad Abbadia, era intervenuto anche l’esercito, ma forse si era passato ben di più “il segno”.
Forse non si saprà mai con certezza se l'attentato fu, come appare, solo il gesto di un esaltato o se invece può esser annoverato fra i primi episodi di quella che poi verrà definita “strategia della tensione”, mirante, in questo caso, a provocare una violenta reazione della base della sinistra per individuarne le avanguardie, saggiarne la pericolosità, ed aggiornare le strategie governative. Quel che è certo è che alla fine di quelle giornate si registreranno 16 morti e alcune centinaia di feriti; entro la metà di agosto verranno eseguiti 7mila tra arresti e denunce che si protrarranno poi anche per tutta la prima metà degli anni ‘50. Il bilancio di un biennio di repressione verrà elencato da Pietro Secchia in Senato nell'ottobre del 1951: 62 lavoratori uccisi, più di 3.000 feriti, oltre 90.000 arrestati e circa 20.000 condanne, per 7.598 anni di carcere complessivi.
Il “popolo della sinistra” dovrà attendere il luglio 1960 per tornare da protagonista sulle piazze italiane con le grandi manifestazioni antifasciste che provocarono la caduta del governo del dc Tambroni appoggiato dal MSI.
                                                                      
                              Carlo Onofrio Gori









Tratto dell'articolo:
Carlo Onofrio Gori, 1948, “Gl'hanno sparato a Togliatti”. Le reazioni in Toscana all'attentato al leader comunista tra spinte rivoluzionarie e ritorno all'ordine, in “Microstoria” , n. 58 (ott.-dic. 2008)
                                                                           
Attenzione: il post di questo blog e questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente solo previo consenso o citazione esplicita dell'autore e del sito web e/o rivista. 





                                                                                       

Carlo O. Gori. Resistenza. Vita di Bruno Fanciullacci, medaglia d'oro


Bruno Fanciullacci, "Maurizio"

La figura di Bruno Fanciullacci, si distingue innanzitutto per la determinazione e la coerenza nell'imboccare fin dalla prima giovinezza la via della lotta antifascista, della liberazione nazionale e del riscatto proletario: una "lunga strada" che per Bruno terminerà in un caldo pomeriggio del 17 luglio 1944.
Nasce nel 1919 a Pieve a Nievole, il padre Raffaello, fiorentino trasferitosi in Valdinievole dal 1907, di sentimenti anticlericali ed anarco-socialisti, dal 1929/30 diviene inviso ai fascisti locali per alcuni suoi atteggiamenti "non allineati" e boicottato, deve chiudere la sua piccola azienda meccanica artigiana, tornare con la numerosa famiglia a Firenze ed adattarsi a lavori saltuari
Uscito da una classe operaia schiacciata e mortificata dal regime, Bruno non può andare oltre gli studi elementari. A diciassette anni trova un lavoro stabile come lift in un noto albergo fiorentino e viene ricordato come un giovane magro e silenzioso, parco di gesti, professionalmente impeccabile, dotato di una intelligenza e maturità superiore all'età ed agli studi compiuti che riesce ad infondere in chi lo incontri simpatia istintiva e fiducia. 
Entra ben presto in contatto con un gruppo di militanti ed intellettuali antifascisti che fa capo a Piero Calamandrei, distribuisce volantini che attacca persino nei corridoi della questura e, infaticabile, scrive sui muri accuse a Mussolini ed al regime
Vittima di un agente provocatore rimane impigliato nel 1938 con un centinaio di altri antifascisti in una vasta retata della polizia e viene poi condannato a sette anni di reclusione. Nel carcere di Castelfranco Emilia, entra in contatto con l'organizzazione del PCI e "l'università del partito" trasforma l'adolescente antifascista senza tessera in un cosciente militante comunista. Liberato poco prima della caduta del fascismo e tornato al lavoro, entra in clandestinità subito dopo l'armistizio dell'8 settembre e l'arrivo dei tedeschi.
Opera a Marciola sulle colline vicino a Firenze, poi il suo gruppo si unisce a quello di Faliero Pucci nella zona di Greve in Chianti. E' di questo periodo l'attentato allo zelante responsabile repubblichino del distretto militare di Firenze col. Gobbi e l'uccisione di una spia fascista.
Il PCI intanto aveva costituito il comando militare partigiano per la Toscana con a capo Sinigaglia, Pucci, Tagliaferri e dalla fine del settembre 1943 stava organizzando, sull'esperienza della Resistenza francese, i Gruppi di Azione Patriottica.
I GAP, a differenza delle formazioni partigiane dislocate in montagna, operavano clandestinamente nel cuore delle città in piccoli gruppi 3-4 uomini. Il loro compito era creare il panico colpendo con attentati e sabotaggi i caporioni, le sedi e le attrezzature del nemico nazifascista. Per questo venivano richieste al gappista doti non comuni: coraggio, determinazione, sangue freddo, sacrificio, disciplina, esperienza militare.
Figure di gappisti come quelle, tra gli altri, di Giovanni Pesce o Dante Di Nanni sono divenute leggendarie nella Resistenza italiana. Per questo sarà bene ricordare innanzitutto, a chi ha voluto stabilire un assurdo parallelo (giocando anche sul fatto che alcuni gruppi estremistici hanno poi ripreso la sigla "gap") fra il gappismo di allora ed i fenomeni anche recenti di lotta armata, condannando il tutto come "terrorismo", che nel '43/'45 era in corso una guerra e c'erano l'occupazione tedesca ed una dittatura da combattere.
Le azioni dei GAP miravano ad acquisire un consenso popolare alla Resistenza, per il gappista catturato la tortura e la morte non erano certo un evento casuale, ma la certezza: si calcola che fra i caduti della Resistenza un gappista su tre abbia fatto questa fine!
A Firenze sotto la guida di Alessandro Sinigaglia i GAP si organizzarono inizialmente in quattro gruppi di quattro uomini ciascuno; Cesare Massai ne era il comandante operativo ed Alvo Fontani commissario politico.
Fanciullacci ("Maurizio") venne posto al comando del gruppo "B" costituito da alcuni compagni che erano con lui a Marciola: Tebaldo Cambi, Luciano Suisola, ed il giovanissimo Aldo Fagioli che parteciperà poi, come soldato volontario, sulla Linea Gotica, alle vicende del Gruppo di Combattimento (divisione) “Cremona” del ricostituito esercito italiano.
Il periodo che va dal gennaio all'aprile del '44 è il periodo eccezionale del gappismo fiorentino, non passa giorno senza qualche difficoltà per i fascisti e Fanciullacci è l'uomo di punta dell'organizzazione.
Innumerevoli sono le azioni alla quale partecipa, ad esempio quella in cui travestito da ufficiale fascista si introduce nella sede del PFR in via dei Servi e vi lascia una bomba che esploderà poco dopo devastandola completamente. Uguale sorte tocca alla sede del sindacato fascista dove si stavano compilando per i tedeschi elenchi di aderenti allo sciopero del 4 marzo, oppure quella della Feldgendarmerie di via del Campuccio.
Tuttavia Fanciullacci viene generalmente ricordato per l'uccisione di Giovanni Gentile, forse l'azione più controversa di tutta la Resistenza, insieme a quella di via Rasella a Roma. Indubbiamente Gentile era figura di primo piano: filosofo eminente, già ministro fascista della pubblica istruzione, aveva aderito con entusiasmo alla repubblica di Salò, tuttavia a volte aveva impegnato il suo prestigio per salvare alcuni resistenti dal plotone d'esecuzione. Non così era accaduto il 23 marzo del 1944 quando alcuni giovani renitenti alla leva furono fucilati a Campo di Marte, anzi Gentile, in un discorso da lui pronunciato in precedenza come presidente dell'Accademia d'Italia e poi comparso su "Civiltà fascista", aveva rivolto un chiaro invito alla rappresaglia indiscriminata non solo nei confronti dei partigiani, ma anche contro "i neutrali e i prudenti". Alcune interpretazioni, anche recenti, hanno ipotizzato che l'ordine dell'eliminazione di Gentile sia venuto dagli Alleati contro i quali aveva pronunciato infuocati discorsi ai quali Radio Londra aveva risposto definendolo "arlecchino filosofo drappeggiato di croci uncinate" e incitando alla "...santa rabbia che animò il popolo italiano nelle sue ore più belle."
Altri, come lo storico Luciano Canfora, affermano che elementi estremisti fascisti sapessero che il filosofo era in pericolo e non facessero niente per proteggerlo. 
L'ordine comunque viene dato a Firenze dall'esponente comunista in seno al CTLN, Luigi Gaiani, in esso si dice che la sentenza deve eseguirla Fanciullacci ed un gruppo di fuoco misto costituito da elementi del gruppi "A" e "B". Secondo quanto scritto da C. Zingoni (La lunga strada, Vita di Bruno Fanciullacci, Firenza, La nuova Italia, 1977) alle ore 13,30 Fanciullacci si trova con un altro compagno davanti all'abitazione fiorentina del filosofo a Villa De Marinis al Salviatino, menttre altri due compagni attendono nei pressi con compiti di copertura.La macchina con Gentile arriva alla villa, un gappista si avvicina e chiede: "È lei Giovanni Gentile?", "Sì" risponde il filosofo: "Questo lo manda la giustizia popolare" e spara.
La macchina corre verso l'ospedale mentre due gappisti si allontanano scendendo per via Lungo l'Affrico e Bruno ed il suo giovanissimo compagno prendono per viale Righi fatti segno ad applausi e a voci di approvazione della gente affacciata alla finestre alla quale Bruno ingiunge di ritirasi dicendo "ma che siamo a teatro?".
Poco tempo dopo, il 26 aprile, la fortuna volge le spalle a Bruno che, nel corso di un'azione condotta da un altro gruppo, viene casualmente catturato a un posto di blocco. Interrogato una prima volta dal famigerato Mario Carità, viene poi seriamente ferito con un pugnale da un altro ufficiale fascista.
Ricoverato nell'ospedale di via Giusti è liberato l'8 maggio con un'audace azione condotta da Chianesi, Martini, Gattai, Suisola, Menicalli e Fagioli. I fascisti da ciò intuiscono l'importanza del personaggio e Bruno viene invitato dall'organizzazione a lasciare Firenze, ma non accetta e resta per un periodo nascosto, con Suisola e Fagioli, in casa di Ottone Rosai, già da tempo in contatto con la Resistenza. Restano a testimonianza di questa amicizia i ritratti del pittore ai tre partigiani.
Proprio in casa di Rosai viene progettata l'ultima azione alla quale Bruno partecipa, la liberazione dal carcere di S.Verdiana della gappista Tosca Bucarelli avvenuta il 9 luglio.
Ma il cerchio della repressione ormai si stringe sui Gap fiorentini, alcuni sono caduti, i "ricambi" non sono forse stati all'altezza degli "iniziatori", forse qualcuno sotto tortura ha parlato. Si moltiplicano gli arresti ed anche Bruno, tre settimane prima della liberazione della città, il 15 luglio del 1944, malgrado un travestimento che ne altera la figura, è riconosciuto ed arrestato in Piazza Santa Croce. Viene subito condotto in via Bolognese nella famigerata Villa Triste, centro di torture organizzato dalla polizia politica del magg. Carità che tuttavia in questo periodo si era già trasferito al Nord.
Interrogato dal vice di Carità, Bernasconi, Bruno resiste e portato in cella esorta i compagni a "tener duro".
Riportato ai piani superiori nel primo pomeriggio vede un finestra aperta e vi si getta compiendo un volo di oltre venti metri dal lato di via Trieste. In fin di vita spira a Villa Triste alle 15,30 del 17 luglio e viene seppellito a Trespiano in una fossa comune.
La sorella Rina e la famiglia sapranno, anche tramite le ricerche di Romano Bilenchi, da tempo impegnato nell'attività clandestina della Resistenza, della morte di Bruno solo il giorno 22.
Nel 1945 la salma venne riesumata e dopo una commossa cerimonia pubblica il partigiano fu sepolto nel cimitero di Soffiano sotto una lapide bianca con la scritta "Bruno Fanciullacci, medaglia d'oro".




                                       


                   Carlo Onofrio Gori




"carlo gori"





Rielaborazione dell'articolo:  Carlo Onofrio Gori, La "lunga strada" di Bruno Fanciullacci, in:  "Microstoria", n. 21 (gen.-feb. 2002).
Vd. anche:  
Carlo Onofrio Gori , Bruno Fanciullacci, "Maurizio", in: 
vedi: anche: 

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mercoledì 18 luglio 2012

Carlo Onofrio Gori. Antifascismo. Fortunato Picchi (Tragino, Operation Colossus)


Vita  e morte di un “traditore”.  Ricordo di Fortunato Picchi,  antifascista  pratese  per lungo tempo dimenticato

Nel 1999 il Comune di Carmignano affidò ad Alessandro Affortunati una ricerca sul sovversivismo e l’antifascismo nel Montalbano, zona collinare fra Prato e Pistoia, e lo storico, fra vari nomi e fatti, localmente più o meno noti, si imbatté, e scrisse, della straordinaria quanto semisconosciuta vicenda di Fortunato Picchi, un antifascista che nel 1941 si fece paracadutare nella prima missione britannica di commandos sabotatori in Italia, ma che fu quasi subito catturato e fucilato come “traditore”. (1) L’Amministrazione, interessata ad approfondire la figura umana ed il gesto di questo suo concittadino per nascita, promosse allora nuovi studi dai quali è poi scaturito un altro volume:  Di morire non m’importa gran cosa. Fortunato Picchi e l’operazione Colossus. (2)
Prima di questi libri, c’era stato tuttavia chi non aveva dimenticato il suo gesto:  “Un fantasma – scrive nella prefazione Mario Baudino - visitava ogni tanto Franco Lucentini, a partire da quand’era studente universitario e finì in galera per antifascismo”. Infatti il noto romanziere, che anteponeva la scelta individuale, morale, ad ogni altra considerazione, scrisse in polemica con Galli Della Loggia e la sua idea di “morte della patria”: “Chiudo con un pensiero alla memoria di … Picchi…I giornali italiani ne dettero l’annuncio in quattro righe e nessuno di poi ne parlò più. Il suo nome non compare in nessuna delle storie della Resistenza. Sarebbe forse ora di ricordarsene e di portare qualche fiore sulla sua tomba se mai si sapesse dov’è”. (3)
Lucentini, malato, scelse di darsi la morte prima di aver notizia delle ricerche di Affortunati e prima di scrivere quel suo libro su Picchi di cui spesso aveva parlato con l’amico Carlo Fruttero e col fratello Mauro.
Fortunato Picchi nasce a Comeana di Carmignano il 28 agosto 1896 da Ferdinando e Iacopina Pazzi. Quattordicenne segue poi la famiglia, povera e numerosa (i fratelli Averardo, Cleto, Giorgio, Sergio e le sorelle Leonia ed Olga), che si trasferisce in Val di Bisenzio alla Tignamica di Vaiano dove il padre è cuoco presso la ditta tessile “Forti” di La Briglia, uno dei più grossi stabilimenti dell'industria tessile pratese. Durante la grande guerra viene arruolato nel novembre del 1915 e combatte sul fronte macedone “con fedeltà ed onore”,  si legge nel congedo,  fino al dicembre del 1919.
Difficoltà familiari e spirito di indipendenza inducono Picchi, nel 1921, ad emigrare in Inghilterra dove inizialmente lavora come cameriere. Nel '25, dopo un breve ritorno in Italia, entra al Savoy di Londra dove riesce a costruirsi una brillante carriera divenendo vice-direttore del reparto banchetti. Nel lussuoso hotel frequentato dal “bel mondo”, Picchi lavorerà, guadagnando molto bene, fino all’entrata in guerra dell’Italia fascista quando con altri connazionali verrà precauzionalmente internato all’isola di Man dove, come vedremo, farà la scelta di operare attivamente contro il regime mussoliniano. Impegno non dettato da opportunismo o esaltazione, ma frutto di una sua lenta, ma costante, maturazione politica avvenuta nella Londra degli  anni Trenta. La democrazia britannica è in quel tempo sottoposta a forti spinte verso destra: si pensi alle simpatie degli ambienti conservatori verso il fascismo italiano, tantochè sir Oswald Mosley nel 1932 può fondare la British Union of Fascists; si consideri, tra l’altro, che re Edoardo VII non nasconderà la sua ammirazione verso il nazismo e che il governo conservatore svolgerà poi un ruolo non indifferente nel favorire la vittoria franchista nella guerra civile spagnola. (4)
Fortunato, inizialmente non manifesta una precisa collocazione politica, si definisce semplicemente “cattolico” (tra l'altro non praticante, e su questo avverrà nel 1932 la rottura con suo padre, cattolicissimo), ma ammira tuttavia l’anticlericale Garibaldi, visto come campione dell’emancipazione dei popoli e uomo politico che storicamente aveva manifestato, pienamente ricambiato, stima ed affetto per l’Inghilterra. Coltiva poi le sue amicizie più profonde negli ambienti democratici ed antifascisti e rifiuta di frequentare le sezioni del PNF che in quel periodo, per l’atteggiamento benevolo delle autorità, sorgono numerose sul territorio britannico: questo suo comportamento non mancherà di essere debitamente registrato dai consolati italiani.
Fortunato che, celibe, vive ai Sussex Gardens, pensionante di una famiglia di lontane origine italiane, i Lantieri, è infatti l’antitesi del “buon italiano” (leggi: “fascista”) all’estero: una informativa del SOE  lo definirà poi “An idealist … who is in many ways more English than the English” (5). Infatti da buon londinese tifa Arsenal e spesso porta Billy, il suo cane alsaziano, a correre in Hyde Park. Pur essendo, oltre a questo dato esteriore, un sincero e convinto ammiratore dei fondamenti della democrazia inglese, tuttavia non vorrà mai rinunciare alla nazionalità italiana, per cui allo scoppio della guerra verrà internato.
In questo periodo aderisce al Free Italy Movement, un’associazione di antifascisti italiani di varia tendenza politica costituita nell’ottobre del 1940 dal cattolico Carlo Petrone e che annovera  fra gli altri suoi dirigenti Paolo e Pietro Treves, figli di Claudio Treves, uno dei fondatori del socialismo italiano,  e Umberto Calosso, una delle più note “voci” di Radio Londra. (6)
Come riferirà Florence Lantieri, dopo sei mesi gli viene offerta la possibilità di lasciare l'isola di Man e tornare al suo ben remunerato lavoro, ma a Picchi la sola attività di propaganda antifascista non può bastare ed è proprio, “paradossalmente”,  per “difficile” e grande amor di patria, che fa la scelta coraggiosa ed estrema di combattere, se necessario, contro i propri compatrioti.
Ottiene infatti di arruolarsi ed inizialmente è inquadrato come sapper (pioniere del genio) poi, nonostante abbia ben quarantesei anni, entra nei paracadutisti sottoponendosi ad un durissimo addestramento ai lanci ed all'uso delle armi. Volendo esser utile anche come interprete si offre per una missione estremamente rischiosa sul territorio italiano: il danneggiamento dell'acquedotto pugliese. Così nella notte tra il 10 e l'11 febbraio 1941, dopo una rapida azione di disturbo da parte della RAF, il  No. 2 Commando del II Special Air Service (SAS) , partito da Malta e composto da 34 uomini, fra i quali Picchi, viene paracadutato tra Calitri, Rapone e Pescopagano.
I guastatori si raccolgono nel punto prestabilito lungo il fiume Ofanto, poi arrivati al torrente Tragino minano il viadotto, tuttavia il ponte-canale viene danneggiato dall’esplosione, ma non distrutto, ed il sabotaggio ha solo l’effetto di privare dell’acqua, per non molto tempo, alcune zone del foggiano e del barese. 
Dopo l’azione i parà cercano di raggiungere a piccoli gruppi il punto della costa dove li aspetta un sommergibile, ma ormai carabinieri e milizia, con l’aiuto della popolazione, danno il via ad un vasto rastrellamento che impedirà ai britannici di esser recuperati nei tempi stabiliti. Picchi, che in quei frangenti si prodiga affinché non venga sparso sangue fra i civili, è costretto come gli altri ad arrendersi. Interrogato si qualifica come Pierre Dupont, francese “libero”, poi deve ammettere la sua vera identità e lo fa specificando di esser lì non per tradire l’Italia, ma per combattere il regime fascista. Tutti i britannici, in divisa, vengono considerati prigionieri di guerra ed inviati nei campi di concentramento, mentre Picchi, in quanto cittadino italiano, è subito deferito per tradimento al famigerato Tsds. La sentenza è di morte per fucilazione alla schiena, eseguita, dopo breve lasso di tempo (alle ore 7 del 6 aprile 1941) a Roma nel Forte Bravetta. 
Mentre Oltremanica i democratici esaltarono il suo gesto parlando di “Life sacrificed for Freedom” e definendolo “Martyr of the New Risorgimento”, in Italia i suoi familiari dovettero fatalmente sopportare le più pesanti angherie del regime fascista, e questa fu l’unica cosa di cui Fortunato si pentì. Scrisse infatti nell’ultima lettera alla madre: “mi dispiace …per voi e per tutti di casa di questa sciagura e del dolore che vi arrecherà…. Di morire non m’importa gran cosa, quel che mi dispiace è che io, che ho voluto sempre il bene del mio Paese, debba oggi esser considerato come un traditore”. (7)
Affortunati rileva che, sia immediatamente dopo il 25 luglio 1943, sia soprattutto dopo la Liberazione, gli antifascisti vaianesi resero onore a Picchi, mentre sulla stampa pratese il “Corriere del Mattino” del 15 maggio 1945 lo indicò come “il primo patriota [pratese] ed uno dei primi d'Italia” e la “La Nazione del Popolo” del 21 febbraio 1946 lo definì “Eroe”. Tuttavia i familiari di Fortunato rimasti nella zona di Vaiano si opposero tenacemente a qualsiasi utilizzo politico della sua figura, e forse anche per questo il suo coraggioso gesto iniziò ed essere dimenticato.
Il 16/17 aprile 1949, in “una temperie politica ben diversa da quella del 1945-46” Paolo Caccia Dominioni sul “Corriere d'informazione” si occupò del pratese con l’articolo: “Era un traditore oppure un eroe?” Concluse che era sia un po'  l'uno che l'altro, ma questa sua valutazione trovò la strenua opposizione di un democratico inglese, Ivor Thomas, che in una lettera al direttore scrisse: “Fortunato Picchi fu tra gli uomini più valorosi dell'età nostra. Amò la sua terra...e sacrificò la sua vita per contribuire a liberarla dalla tirannia fascista...Se Picchi fu un traditore, allora Mussolini fu un patriota; e io temo che l'articolo di Paolo Caccia Dominioni rafforzerà la posizione di quanti asseriscono che il fascismo riuscì sempre accetto al popolo italiano ed è ora in via di riprendersi”.(8) Da allora - nota Affortunati - “di Picchi non si è più parlato se non incidentalmente”. (9)
Riflettendo su questo oblio dobbiamo osservare che questa vicenda fu “scomoda”, soprattutto per il fondersi di due ragioni. La prima va forse ricercata nel fatto che il “traditore” Picchi fu “partigiano” prima dell’8 settembre 1943, cioè prima che esistessero i partigiani, anzi molti di quelli che, proprio in seguito alla dura ed istruttiva esperienza di una guerra sciagurata, combatterono poi come partigiani il nazifascismo, nel 1941 stavano ancora dall’ “altra parte”. Ma anche questa pregiudiziale poteva esser superata pensando, ad esempio, ai comunisti Ilio Barontini e Anton Ukmar che in Etiopia si opposero insieme agli abissini all'occupazione colonialista e fascista italiana, oppure ai numerosi fuoriusciti  “garibaldini” di Spagna che a Guadalajara sconfissero i soldati del CTV inviato da Mussolini in sostegno al golpista Franco. Tuttavia si tratta di esempi generalmente riconducibili figure di militanti antifascisti ben politicamente connotati, ma questa, ovviamente, non è una colpa. Ed ecco che arriviamo alla seconda, e forse la  vera ragione del lungo oblio al quale venne condannato il pratese: pur essendo stato Picchi un fervente antifascista, non risultò tuttavia legato ad alcun partito politico, né la sua memoria, su questo piano, anche per strenua opposizione della famiglia, poté quindi esser rivendicata da qualcuno in particolare. Ma nemmeno questa è una colpa!
Fortunato Picchi, “il traditore”, pur non maturando una scelta politica o ideologica ben definita, amava sinceramente la democrazia e conseguentemente amò la propria patria fino a compiere scelte “scomode” ed “estreme”. Non dimentichiamoci infatti che nella stessa Inghilterra, dove si scrissero libri To the glorious memory of Fortunato Picchi, persino un suo commilitone del SAS, evidentemente impregnato di spirito militarista e patriottardo, fedele al motto “right or wrong my country is my country”, affermerà che sebbene Picchi fosse un idealista “...he was also, after all, a traitor to his country and it seem rather difficult to make him out of hero” (fu dopotutto un traditore del suo paese e risulta difficile considerarlo un eroe).   (10)
Comprendiamo coloro che, in grigioverde, fino all’8 settembre, pur maturando la consapevolezza delle colpe del regime, spesso per una propria concezione del senso del dovere, si sacrificarono obbedendo agli ordini, ma proprio per questo pensiamo sia altrettanto doveroso ricordare chi, come Picchi, consapevole dei rischi, volontariamente volle combattere a fianco del “nemico” contro il  fascismo ed il nazismo.
Per questo, in un periodo in cui varie amministrazioni locali sembrano rincorrere quelli che ritengono essere i gusti correnti, spesso indulgendo nel sostegno ad una pletora di costose e variegate, quanto caduche, iniziative culturali, va dato atto al Comune di Carmignano di aver promosso serie e rigorose pubblicazioni volte a ricostruire la storia dell’impegno civile e democratico di Fortunato Picchi. (11)

Carlo Onofrio Gori

1) Cfr. A. Affortunati, Mille volte no. Sovversivismo ed antifascismo nel Carmignanese. Con un profilo di Fortunato Picchi, prefazione di Ivan Tognarini, Mir, 1999.
2) Cfr. A. Affortunati,  Di morire non m’importa gran cosa. Fortunato Picchi e l’operazione Colossus,  prefazione di Mario Baudino, Pentalinea, 2004.
3) ivi, pp. 9-13.
4) Vd., tra gli altri, P. Preston, Francisco Franco: la lunga vita del Caudillo, A. Mondadori,  1995 e dello stesso  A.,  La guerra civile spagnola. 1936-1939, A. Mondadori, 1999.
5) A. Affortunati, Di  morire..., cit., p. 65.
6) Cfr. N. Bobbio, Umberto Calosso e Piero Gobetti, in “Belfagor”, 3 (1980), pp. 329-338.
7) A. Affortunati, op. cit., pp. 103-104.
8) ivi, pp. 117-118.
9) ibidem
10) ivi, p. 109.
11) Il Comune di Vaiano ha poi intitolato al nome dell’antifascista un ponte sul fiume Bisenzio nella frazione della Tignamica. Su Picchi, oltre agli articoli recentemente apparsi nelle cronache di quotidiani pratesi, vd. anche il saggio: C.O. Gori,  Fortunato Picchi: la memoria di un eroe antifascista per lungo tempo dimenticato, in “QF. Quaderni di Farestoria”, periodico dell'Istituto storico provinciale della Resistenza di Pistoia, n. 3-4 (lug.-dic. 2004).

Sintesi degli articoli:

Carlo Onofrio Gori, Fortunato Picchi: in un bel libro di Alessando Affortunati la memoria di un eroe antifascista per lungo tempo dimenticato, in "QF-Quaderni di Farestoria n. 3-4 (2004)

Carlo Onofrio Gori, Vita  e morte di un “traditore”.  Ricordo di Fortunato Picchi,  antifascista  pratese  per lungo tempo dimenticato, in Patria indipendente n. 3 (11 mar. 2007). 

http://www.anpi.it/media/uploads/patria/2007/3/33-36_GORI.pdf

Carlo Onofrio Gori, Fortunato Picchi, in 

http://resistenzatoscana.it/biografie/picchi_fortunato/  8-7-2008







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“Di morire non mi importa gran cosa”

ALESSANDRO AFFORTUNATI

Fortunato Picchi e l’Operazione “Colossus”

Pentalinea, Prato 2004
pp. 162, euro 20,00.

Un fantasma – si legge nell’intensa prefazione dello scrittore e giornalista de “La Stampa” Mario Baudino - visitava ogni tanto Franco Lucentini, a partire da quand’era studente universitario e finì in galera per antifascismo”. Infatti il grande scrittore torinese, era rimasto affascinato della figura di un antifascista pratese, da tempo emigrato in Inghilterra, Fortunato Picchi, che si fece paracadutare nella prima missione britannica di commandos sabotatori in Italia nel ’41, ma che fu quasi subito catturato e fucilato. Lucentini, che anteponeva la scelta individuale, morale, ad ogni altra considerazione, scrisse in polemica con Galli Della Loggia e la sua idea di morte della patria: “Chiudo con un pensiero alla memoria di …  Picchi…I giornali italiani ne dettero l’annuncio in quattro righe e nessuno di poi ne parlò più. Il suo nome non compare in nessuna delle storie della Resistenza. Sarebbe forse ora di ricordarsene e di portare qualche fiore sulla sua tomba se mai si sapesse dov’è”. La morte ha raggiunto Lucentini prima che potesse dar corso alla sua idea, di cui aveva parlato più volte con l’amico Carlo Fruttero e col fratello Mauro, di scrivere un libro su questo eroe dimenticato e, soprattutto, prima che potesse incontrare Alessando Affortunati che, sul piano storico, si stava occupando di riportare alla luce la figura umana ed il gesto dell’antifascista pratese, come poi ha egregiamente fatto in questo suo bel libro, promosso dall’amministrazione comunale di Carmignano e frutto di rigorose ricerche in archivi italiani e britannici.
Carmignanese, il quattordicenne Picchi aveva seguito la famiglia che si era trasferita in Val di Bisenzio alla Tignamica, allora nel territorio del Comune di Prato. Difficoltà familiari e spirito di indipendenza indussero Picchi, ancor giovane, ad emigrare in Inghilterra dove inizialmente lavorò come cameriere, ma col tempo seppe costruirsi una brillante carriera divenendo vice-direttore del reparto banchetti del prestigioso Hotel Savoy di Londra. Più inglese di costumi ed abitudini degli stessi inglesi, Fortunato non volle tuttavia mai recidere i contatti con i suoi né rinunciare alla nazionalità italiana per cui allo scoppio della guerra venne per breve periodo internato. Con altri italiani fece poi la scelta di operare attivamente contro il regime fascista, assumendosene in pieno tutte le responsabilità. Da ammiratore della democrazia inglese, voleva infatti che anche l’Italia divenisse un paese democratico e, paradossalmente, proprio per amor di patria, fece la scelta coraggiosa ed estrema, di decidere di combattere, se necessario, contro i propri compatrioti anche a costo di esser definito, come poi lo fu, con l’epiteto infamante di “traditore”. Arruolato fra i paracadutisti accettò, nelle speranza di poter esser utile come interprete, di far parte di una missione che aveva l’obbiettivo di far saltare uno strategico ponte-acquedotto nella zona di Calitri, tra Campania, Puglia e Basilicata.
La missione ebbe esito parzialmente positivo, l’acquedotto venne danneggiato, ma non distrutto. Le squadre del commando non poterono esser recuperate da un sommergibile nei tempi stabiliti, e braccate, dovettero l’una dopo l’altra arrendersi. Picchi in quei frangenti si prodigò affinché non venisse sparso sangue fra i civili italiani. In seguito all’arresto, benché sotto falso nome, fu riconosciuto come italiano ed ammise apertamente di esser lì per combattere la sua guerra, non contro l’Italia, ma contro il regime fascista. Pochi giorni dopo, il 6 aprile 1941, fu fucilato a Roma.
In seguito all’episodio i suoi parenti dovettero sopportare le pesanti angherie del regime fascista, e di questo nell’ultima lettera indirizzata alla madre fu l’unica cosa di cui Fortunato si pentì, mentre Oltremanica i democratici inglesi esaltarono la nobiltà del suo gesto. Dopo la Liberazione, per qualche tempo nel pratese fu ricordato e gli vennero resi onori, ma ben presto sopravvenne l’oblio. In fondo la sua era una figura scomoda soprattutto per due ragioni: perché Picchi, fervente antifascista, non era tuttavia legato ad alcun partito politico e poi perché fu partigiano prima dell’8 settembre 1943, cioè prima che esistessero i partigiani. Leggermente in anticipo sui tempi…

                        (Carlo Onofrio Gori,  recensione per "Microstoria")



Questi articoli sono riproducibili parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore



Life and death of a "traitor." I remember Fortunato Picchi, italian (and…Londoner)  anti-fascist born in Provincia (county) of  Prato,  Tuscany, Italy. In 1999, the town of Carmarthen entrusted to Alessandro Affortunati a search on the subversive and anti-fascism in the Montalbano hills between Prato and Pistoia (Tuscany-Italy), and the historical, between various names and events, locally more or less known, he came, and he wrote, the extraordinary and little known story of Fortunato Picchi, an anti-fascist who in 1941 became the first British mission parachute commando saboteurs in Italy, but was soon captured and shot as a "traitor." (1) The Directors concerned to deepen the human figure and the gesture of this fellow countryman by birth, then promoted new studies from which it is then derived another volume: To die I do not care a great thing. Fortunato Picchi and the operation Colossus. (2)First of these books, however, there had been those who had not forgotten his gesture: "A ghost - writes in the preface Mario Baudino - visited occasionally Franco Lucentini, from when he was a university student and ended up in jail for anti-fascism." In fact, the well-known novelist who anteponeva individual choice, moral, all other considerations, wrote in opposition Galli Della Loggia and his idea of ​​"death of the fatherland": "I close with a thought to the memory of ... ... Picchi Italian newspapers I gave the announcement in four rows and none of then quickly faded. His name does not appear in any of the stories of the Resistance. It would perhaps be time to remember and to bring some flowers on his grave if he knew where ever you. " (3)Lucentini sick, he chose to kill himself before news of Affortunati and research before writing that book of Picchi which had often talked to his friend Carlo Fruttero and his brother Mauro.Fortunato Picchi was born in Carmarthen Comeana of August 28, 1896 by Ferdinand and Iacopina Pazzi. Fourteen then follows the family, poor and large (Averardo brothers, Cletus, George, Sergio and sisters Olga and Leonia), who moves to Bisenzio Valley to Tignamica Vaiano where his father was a cook in the textile company "Strong" La Briglia, one of the biggest factories in the textile industry of Prato. During the war is enlisted in November 1915 and fought on the Macedonian front "with fidelity and honor," it said in farewell, until December 1919.Family difficulties and spirit of independence induce Picchi in 1921 to emigrate to England, where he initially worked as a waiter. In '25, after a brief stay in Italy, he entered the Savoy in London where he managed to build a successful career, becoming deputy director of the department banquets. In luxury hotel frequented by "beautiful world", Picchi work, earning very well, until the entry into the war fascist when with other fellow will be interned precaution Isle of Man where, as we shall see, will make the choice to work actively against Mussolini's regime. Commitment is not dictated by opportunism or exaltation, but the result of his slow, but steady, political maturation took place in London in the Thirties. British democracy is at that time subject to strong pressures to right: think of the likes of the conservative toward Italian fascism, so much so that Sir Oswald Mosley in 1932 can be found the British Union of Fascists; consider, among other things, that the king Edward VII does not hide his admiration for the Nazis and that the Conservative government then held a significant role in facilitating the victory of Franco in the Spanish Civil War. (4)Fortunato, initially manifests a clear political stance, it is called simply "Catholic" (among other non-practitioner, and this will happen in 1932, breaking with his father, catholic), but admires the anticlerical Garibaldi, however, seen as a champion the emancipation of the peoples and politician who historically had expressed fully reciprocated, esteem and affection for England. Then cultivated his friendships deeper environments democratic and anti-fascist and refuses to attend the sections of the PNF in that period, the benevolent attitude of the authorities, there are numerous British territory: this behavior will not fail to be duly registered by the consulates Italians.Fortunato, unmarried, lives in Sussex Gardens, boarder of a family of distant Italian origin, the Lantieri, is in fact the antithesis of "good Italian" (read: "Fascist") abroad: a statement of the SOE then define " “An idealist … who is in many ways more English than the English”  (5). In fact, a good London Arsenal fans and often leads Billy, his Alsatian dog, to run in Hyde Park. Although, in addition to this external data, a sincere and convinced admirer of the foundations of English democracy, but he will not ever give up the Italian nationality, so the outbreak of the war will be interned.During this time Italy joined the Free Movement, an association of Italian anti-fascists of various political tendency established in October 1940 by the Catholic Carlo Petrone and which counts among its other leaders Peter and Paul Treves, sons of Claudio Treves, one of the founders of Italian socialism, and Umberto Calosso, one of the most famous "voices" of Radio London. (6)How to report Florence Lantieri, after six months he was offered the chance to leave the Isle of Man and return to his well-paying job, but the only activity Picchi of anti-fascist propaganda is not enough and it is, "paradoxically" for " difficult "and great love of country, which makes the choice very brave and to fight, if necessary, against their own compatriots.Gets fact to enlist and initially framed as sapper (pioneer of genius) then, despite well quarantesei, he entered the paratroopers undergoing training for a hard launch and firearms. Wanting to be useful as an interpreter is offered for a very risky mission on Italian soil damage Apulian aqueduct. So on the night between 10 and 11 February 1941, after a brief contact with disorder by the RAF, No. 2 Commando II Special Air Service (SAS), left Malta and consists of 34 men, including Picchi, is parachuted in Calitri, Rapone and Pescopagano. The sappers are collected in predetermined point along the river Ofanto, then arrived at the river Tragino undermine the viaduct, but the canal bridge is damaged by the explosion, but not destroyed, and sabotage has only the effect of depriving the water, not for a long time, some areas of the province of Foggia and Bari. After the action of the paratroopers trying to achieve in small groups the point on the coast where they expect a submarine, but now police and militia, with the help of the people, give way to a vast sweep that will prevent the British to be recovered in schedule. Picchi, which in those occasions strives to be not shed blood among civilians, as the other is forced to surrender. Asked qualifies as Pierre Dupont, French "free", then has to admit his true identity and does not specify to be there to betray Italy, but to fight the fascist regime. All the British, in uniform, they are considered prisoners of war and sent to concentration camps, while Picchi, as an Italian citizen, was immediately referred to the infamous betrayal TSDS. The sentence is death by firing squad in the back, performed after a short period of time (at 7 am on April 6, 1941) in Rome in Forte Bravetta.While across the Channel the Democrats praised his gesture talking about "Life sacrificed for Freedom" and calling it "Martyr of the New Renaissance", in Italy his family had fatally bear the heaviest oppression of the fascist regime, and this was the only thing which Fortunato repented. He wrote in his last letter to his mother: "I'm sorry ... for you and for all the house of this tragedy and pain that will bring you .... To die I do not care much, that I regret is that I, who have always wanted the good of my country, must now be regarded as a traitor. " (7)Affortunati notes that, both immediately after July 25, 1943, and especially after the Liberation, anti-fascists vaianesi made to honor Picchi, while the press Prato "Corriere del Mattino" of 15 May 1945 indicated him as "the first patriot [Prato] and one of the first in Italy "and" The Country of the People "of February 21, 1946 described him as" Hero ". However, the family remained in the area of ​​Fortunato Vaiano fiercely opposed to any political use of his figure, and perhaps for this reason his courageous gesture and began to be forgotten.The 16/17 April 1949, in "a political climate very different from that of 1945-46" Paolo Caccia Dominioni "Corriere d'informazione " dealt with the Prato with the article: "He was a traitor or a hero?" Concluded who was both a bit 'the one and the other, but this assessment found the strenuous objections of a democratic English, Ivor Thomas, who in a letter to the editor wrote: "Fortunato Picchi was one of the bravest men age our. He loved his land ... and sacrificed his life to help free her from fascist tyranny ... If Picchi was a traitor, then Mussolini was a patriot, and I am afraid that the article by Paolo Caccia Dominioni will strengthen the position of those assert that fascism could always accept the Italian people and is now in the process of recovering. "(8) Since then - note Affortunati -" Picchi of you are no longer spoken except incidentally. " (9) Reflecting on this oblivion we must note that this story was "uncomfortable", especially for the merging of two reasons. The first is perhaps in the fact that the "traitor" Picchi was "partisan" before September 8, 1943, that is, before there were partisans, even many of those who, precisely because of the harsh and instructive experience of a disastrous war, then as partisans fought fascism in 1941 were still from '"other side." But this ruling could be overcome thinking, for example, the Communists Ilio Barontini and Anton Ukmar in Ethiopia together with the Abyssinians opposed colonialist occupation and Italian fascism, or the numerous leaked "partisans" of Spain, who defeated the soldiers in Guadalajara CTV sent by Mussolini in support of the coup Franco. However it is generally attributed examples figures Fascists well politically connotations, but this, of course, is not a fault. And here we come to the second, and perhaps the real reason for the long neglect which was condemned Prato: despite being an ardent anti-fascist Picchi, however, turned out not tied to any political party, nor his memory, on this level, even for strenuous opposition from his family, he could then be claimed by anyone in particular. But even this is a crime!Fortunato Picchi, "the traitor", while not gaining a political or ideological well-defined, truly loved democracy and consequently loved their homeland to make choices "uncomfortable" and "extreme." Not forget that in the same England, where he wrote books To the glorious memory of Fortunato Picchi, even a fellow soldier in the SAS, evidently impregnated militarist spirit and patriottardo True to the motto "right or wrong my country is my country," affirmed that although Picchi was an idealist "... he was also, after all, a traitor to his country and it seem rather difficult to make him out of hero" (it was, after all, a traitor to his country and it is difficult to consider him a hero). (10) We understand those who, in gray, until September 8, but growing awareness of the faults of the system, often to his own conception of a sense of duty, sacrificed themselves obeying orders, but that is why we think it is equally important to remember and honor those who as Picchi, aware of the risks, voluntarily wanted to fight alongside the "enemy" against fascism and Nazism.For this reason, a time when many local governments seem to be pursuing what they consider to be the current tastes, often indulging in supporting a plethora of expensive and varied as deciduous, cultural initiatives, it should be acknowledged to Carmignano have promoted series and rigorous publications to reconstruct the history of civic and democratic Fortunato Picchi. (11)  "carlo gori"