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domenica 23 dicembre 2012

C.O. Gori. Curiosità storiche. Toscana: un Calendario fino al 1749

Fino al 1749 un ... Calendario toscano 


Non tutti in sanno che nello Stato toscano fino al 20 novembre del 1749 fu in uso il “calendario fiorentino” (che convisse con simili calendari anche a Pisa e a Siena) nel quale l’anno si faceva iniziare non col 1° gennaio, ma il 25 marzo con la festa dell' Annunciazione a Maria. Esso venne definitivamente abolito per decreto dal Granduca Francesco III di Lorena, il quale ordinò che in tutto il territorio toscano il nuovo anno 1750 dovesse iniziare dal 1º gennaio.
Occorre notare che l'uso di un particolare calendario, oggi che la maggior parte dei Paesi del mondo se non per “credenza”, bensì per praticità adotta ufficialmente per convenzione il calendario gregoriano (calendario solare che prende il nome da papa Gregorio XIII, che lo introdusse nel 1582 a modifica del calendario giuliano), non fu prerogativa di Firenze, ma rientra in quel più vasto fenomeno secondo il quale i paesi europei, nel corso del Medio Evo e fin nell'Età Moderna regolarono il computo del tempo secondo tradizioni locali e variabili. L’ Era Cristiana - come punto d’inizio per la numerazione degli anni, concepita nel VI secolo dal monaco Dionigi il Piccolo che identificò l'anno di nascita di Gesù Cristo nel 754 di Roma - non fu accettata subito né ovunque e fra l'altro, conteneva un errore di calcolo, che non venne rilevato se non più tardi. Carlo Magno la fece adottare nei suoi domini, nel secolo IX; nei territori germanico venne adottata  nel secolo X, in quelli spagnoli nel 1100, in Portogallo e in Austria ancora più tardi. Medesime divergenze si ebbero circa il giorno iniziale di ogni nuovo anno. A Venezia venne scelto il 1° marzo; alcune città lombarde, fra cui Pavia, adottarono il 16 marzo, data seguita per qualche tempo anche dal Capodanno inglese; Firenze, come si è detto, scelse il 25 marzo.
Nel Regno di Francia il Capodanno coincise a lungo con la Pasqua; altre parti d'Italia e gli Stati della Germania scelsero invece il 15 dicembre. Tanta varietà di “capodanni” è intuibile rammentando da una parte l'isolamento e la carenza di comunicazioni peculiari dell'età medioevale; dall'altra, il carattere puramente convenzionale e in fondo arbitrario e che è il dato comune alle diverse date adottate come “punti di partenza”.
Oggi con il prevalere soprattutto in campo economico della prospettiva eurocentrica il calendario più diffuso in parziale alternativa al calendario Gregoriano, è il calendario islamico (un calendario lunare, in uso in alcuni paesi islamici), mentre è ancora praticato il calendario Ebraico (lunisolare). Affiancati al Gregoriano inoltre sono ancora parzialmente in uso il calendario tradizionale cinese (la Repubblica Popolare ufficialmente per praticità spesso si adegua al gregoriano) e quello Giuliano, oggi in uso solo per motivi religiosi o liturgici nelle Chiese cristiano-ortodosse: 13 giorni di differenza  tra le festività religiose "fisse" ortodosse e quelle delle altre confessioni cristiane.
A seconda del calendario può variare sia l'anno da cui si cominciano a contare gli anni (per il Gregoriano è la nascita di Gesù, per i Musulmani il nostro 622 d.C., per gli Ebrei il nostro 3760 a.C.) che il giorno di inizio dell'anno (per noi il 1 Gennaio, per i cinesi nel segno dell'Acquario).
Un calendario di “rottura”, creato in contrapposizione alla tradizione cristiana, fu il “Calendrier Révolutionnaire Français” (o Calendrier Républicain Français), elaborato da una apposita commissione scientifica. Infatti la Rivoluzione francese, dopo aver creato il 1º agosto 1793 il Sistema metrico decimale ritenne necessario, sulla base dei valori di natura e libertà umana,  intervenire anche sul calendario. Approvato a Parigi dalla Convenzione Nazionale il 24 novembre del 1793, il “Calendrier” rimase in vigore fino al 31 dicembre 1805 e poi tornò in vigore a Parigi durante la rivoluzionaria Comune del 1871. In esso l'anno era composto da 12 mesi di 30 giorni ciascuno, che a loro volta erano suddivisi in tre periodi di 10 giorni. Il Capodanno era invece stabilito al 23 settembre con l'equinozio d'autunno. Ad ogni anno venivano aggiunti 5 giorni in più, 6 per l'anno bisestile, per mantenerlo sincronizzato con l'anno tropico. I nomi dei mesi erano, a partire dal primo dell'anno il 23 settembre: Vendemmiaio, Brumaio, Frimaio, Nevoso, Piovoso, Ventoso, Germile, Fiorile, Pratile, Messidoro, Termidoro e Fruttidoro.
Per rimanere in ambito “rivoluzionario” in Russia fino alla rivoluzione sovietica del 1917 fu adottato il calendario giuliano l'Unione Sovietica nel 1918 adottò il calendario gregoriano, r quindi l’anniversario della rivoluzione d’Ottobre (il nome rimase) venne successivamente festeggiato il 7 novembre (secondo il nuovo calendario gregoriano) e non il 25 ottobre (secondo il calendario zarista giuliano). Nel 1923 entrò ufficialmente  in vigore un Calendario rivoluzionario sovietico  poiché fu modificato il calcolo per decidere quali anni centenari fossero bisestili. In esso, tra gli anni divisibili per 100 erano bisestili solo quelli che divisi per 9 davano come resto 2 o 6. Il primo anno di discordanza con il calendario gregoriano sarebbe stato il 2800. Dal 1940 il Calendario rivoluzionario sovietico fu abbandonato e l’Urss tornò al calendario gregoriano.
Tornando ad oggi, come s’è anche detto sopra, convivono, sovente non in completa sostituzione, ma “accanto” al calendario gregoriano, quello musulmano, quello ebraico, il calendario nazionale indiano (chiamato anche calendario Saka) ed altri, e in tal senso possono variare sia l'anno da cui si cominciano a contare gli anni (ad es. se per il Gregoriano è la nascita di Gesù, per i Musulmani è il nostro 622 d.C., per gli Ebrei è il nostro 3760 a.C.) che il giorno di inizio dell'anno (per noi il 1 Gennaio, per i cinesi nel segno dell'Acquario).
Il vecchio calendario fiorentino granducale durò più a lungo degli altri probabilmente perché la scelta su cui si basava era in fondo la più ragionevole. Infatti, se si computano gli anni a partire da quello in cui nacque Gesù, il 25 marzo, ossia la data in cui l'Incarnazione (ricorrenza dell’Annuncio  alla Vergine Maria appare la più logica da scegliersi come Capodanno. Essa coincide inoltre con l'inizio della primavera e, con uno scarto di pochi giorni, con l'entrata del sole nella Costellazione d'Ariete e gli antichi proprio dall'Ariete incominciavano il computo dei segni zodiacali.
L'epoca precisa in cui fu adottato il calendario fiorentino non è accertata; esso in ogni modo ebbe radici molto antiche e occorre storicamente notare che nel medioevo, e anche dopo, a Pisa ed in alcune parti della Toscana era stato in vigore anche il cosiddetto “calendario pisano”, o “stile dell'Incarnazione al modo pisano” per il quale l'anno iniziava, come a Firenze, il 25 marzo con la festa liturgica dell'Annunciazione della Vergine Maria, ma rispetto allo "stile dell'Incarnazione al modo fiorentino", utilizzato appunto, sicuramente dal periodo medievale, oltre a Firenze anche in altre città dell'Italia (ad es.  Piacenza), il calendario pisano, in base a particolari calcoli, finiva per differire di un anno esatto per cui mentre a  Firenze un  documento datava, ad esempio, 21 ottobre 1400, nello stesso giorno a Pisa esso veniva datato 21 ottobre 1401.
Ovvio che in sede storiografica, per quanto concerne i personaggi nati o morti a Firenze e in Toscana prima del 1750, o cronache di fatti, l'uso di questi calendari ha dato spesso luogo a una curiosa (e diciamolo, anche fastidiosa) duplicità (o triplicità) di date.
                                                               
                                                             


                            Carlo Onofrio Gori
                                









E' possibile la riproduzione parziale e/o integrale di questo articolo previo consenso dell'autore o comunque citando lo stesso Carlo O. Gori

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mercoledì 5 dicembre 2012

C.O. Gori. Seicento. Storia della Musica. Giovan Battista Lulli, un fiorentino in Francia


Vita di un emigrato fiorentino nella Francia del Seicento: il famoso Giovan Battista Lulli

Fra gli emigrati toscani che in Francia ottennero grande popolarità nel campo dello spettacolo ancora oggi molti ricordano il grande attore e chansonnier monsummanese Ivo Livi, in arte Yves Montand (al tempo stesso uomo politicamente "impegnato", di grande onestà intellettuale, capace di "revisioni" importanti e "sofferte"), ma solo chi ha qualche dimestichezza con la storia della musica sa che alcuni secoli prima, nel Seicento, un fiorentino, Giovanni Battista Lulli, ottenne alla Corte di Luigi XIV, il Re Sole, non solo enorme popolarità, ma anche immenso prestigio e potere, divenendo il famosissimo Jean-Baptiste de Lully, da molti considerato come l'inventore dell'Opera francese. Fu valente musicista (chitarra, violino, clavicembalo), direttore d’orchestra, commediante e commediografo, scenografo, ballerino, compositore, paroliere, cantante.
Le sue origini familiari sono rimaste a lungo nel mistero anche perché Lulli, ormai naturalizzato francese, divenne talmente potente e spavaldo da rifiutare nel 1661 un titolo nobiliare offertogli dal re affermando di essere già nobile a sufficienza poiché suo padre era il cavaliere Lorenzo de' Lulli, patrizio fiorentino. Il musicista, memore della  nobiltà, questa volta indubbia, di altre due fiorentine che lo avevano preceduto a Corte, le regine Caterina e Maria de’ Medici,  non voleva certo sfigurare di fronte al suo sovrano.
Sulla scorta degli atti ritrovati da Henry Prunières, suo biografo, in realtà sappiamo che egli, nato il 28 novembre 1632 nel territorio della parrocchia di Santa Lucia del Prato e battezzato lo stesso giorno nel Battistero di Piazza del Duomo, era figlio di un modesto mugnaio, Lorenzo di Maldo Lulli e di Caterina del Sera, ella stessa figlia di un mugnaio, Gabriello del Sera, nella cui casa di via Borgo Ognissanti Giovan Battista trascorrerà gran parte dell’infanzia. Non sappiamo, tra l’altro, se Lorenzo Lulli era proprietario o garzone del mulino dove svolgeva la sua opera, individuato, con qualche incertezza, nei pressi dell’attuale Lungarno Amerigo Vespucci, dove venne poi apposta una targa. Sapere questo ci direbbe di più sull’infanzia di Giovan Battista, che alcuni descrivono come grama e fortunosa, mentre altri la inquadrano in più tranquilli canoni piccolo borghesi.
Si sa invece per certo che il suo primo maestro fu un frate francescano che gli regalò una chitarra e che tutti i contemporanei  descrissero il giovane Lulli come bruno, brutto e piccolo, ma capace di farsi notare per la sua mimica accattivante e la musica suadente.
Venne condotto a Parigi, probabilmente nel 1646, da Roger di Lorena, cugino del re e Cavaliere di Guisa, su incarico di sua cugina, la duchessa di Montpensier che desiderava avere al suo seguito un giovane musico che sapesse divertirla e dal quale imparare l'italiano. Allora la Montpensiers, ovvero Anne‑MarieLuise d'Orléans, non aveva ancora vent’anni, amava la musica e veniva considerata la donna più ricca di Francia. Nota a corte come la “Grande Mademoiselle” era anch’essa cugina di Luigi XIV, giovanissimo ed ancora sotto la tutela della madre, la reggente Anna d'Austria coadiuvata dall’italiano Cardinale Mazzarino, effettivo conduttore degli affari politici francesi. Giovan Battista seguì tutti gli spostamenti della sua padrona nella vita di Corte e poté anche assistere, con particolare interesse, ai quotidiani concerti dei ventiquattro musicisti, i “violons du roi”, che dall'alba al tramonto accompagnavano la spensierata giornata del sovrano.
Promosso infine cameriere personale della duchessa, Lulli avrà poi la possibilità raffinarsi nella musica con lo studio del violoncello, delclavicembalo e della composizione sotto la guida dei celebri Métru,Gigault e Roberday. Qualche tempo dopo Giovan Battista,  sapendo che della sua bravura già si parlava nell’entourage del sovrano, fu abile a sfruttare le ripercussioni di gravi eventi politici che sconvolsero la Francia e nei quali finì coinvolta anche la sua padrona.
Infatti in quel periodo alla Fronda Parlamentare, che vide il popolo ed il Parlamento rivoltarsi contro la politica fiscale del Mazarino e che fu domata dal principe di Condé, seguì la Fronda dei Principi caratterizzata dalla ribellione dei nobili contro i tentativi del Cardinale volti alla limitazione dei loro privilegi. L’astuto Mazarino, pur dall'esilio, seppe poi sventare anche quest’ultima e ben più pericolosa cospirazione ed i nobili implicati, fra i quali  anche la Montpensier, furono condannati a ritirarsi nelle loro proprietà di campagna. Lulli riuscì allora a trovare il modo di farsi congedare dalla duchessa ed a tornare a Parigi, proprio mentre il re stava cercando un ballerino per uno spettacolo, il Ballet de la nuit,rievocazione di ciò che accadeva in città dal tramonto all'alba e nel quale il sovrano stesso doveva impersonare il Sole.
Un giorno Lulli, mentre assisteva al Louvre ad una prova del maestro di ballo Délorge, fu presentato al quattordicenne re il quale, dopo averlo lungamente osservato,  esclamò ad alta voce: «J’espère que Vous ne regrettez pas d'avoir quitté pour notre service celui de notre belle cousine». Così il fiorentino, forte della regale protezione, venne subito scritturato per il Ballet de la nuit  ed affidato al regista Clément. Già alla prima prova l’intraprendente Lulli, preso un violino dalle mani di un suonatore, dettò tempi più vivaci e ritmi più accelerati così che tutte le battute delle apparizioni risultassero più briose, meno convenzionali e ben più interessanti di quelle ideate dal Clément. Lo spettacolo fu poi rappresentato il 23 febbraio 1653 nelle sale del petit Bourbon con un successo personale immenso dell’ “attore” Luigi XIV, e dal quel momento fra il sovrano, divenuto ormai il Re Sole, e  Giovan Battista si stabilì un legame di riconoscenza ed affetto che durerà per tutta la vita del fiorentino.
Entrato ufficialmente a Corte come compositore di musica strumentale Lulli firma con il Ballet des proverbes e il Ballet du temps le sue prime produzioni nelle quali i ballerini, rispetto a canoni fino ad allora prevalenti, acquistano fantasia, grazia, leggerezza e spirito irridente.
Dal 1664 al 1671, Lulli dà vita a un sodalizio col grande Molière inventando la Comédie-Ballet, cioè ad una commedia intercalata da varidivertissements che, per la mentalità dell’epoca, costituivano la parte più accattivante dello spettacolo. Battista inserisce i suoi balletti ne Le mariage forcé, L'amour médécin, Le bourgeois gentilhomm  e  in Monsieur de Pourcegnac.
Nasce fra i due un'intesa profonda:  Molière definirà Lulli  incomparable e il suo affetto si spingerà al punto da prestare al fiorentino i soldi per una splendida casa. Tale sodalizio tuttavia finirà nel 1672 con una clamorosa rottura per un fatto che porterà Lulli ad un decisivo salto di qualità nella carriera e nella produzione artistica. Infatti dopo il 1669, per iniziativa del librettista Perrin e del musicista Cambert, che per questo avevano ottenuto un “privilegio” del re, si erano infittiti con sempre maggiori successi i tentativi di forgiare un'opera francese, capace di armonizzare alla lingua transalpina il recitativo usato dagli italiani. Ma nel 1671 alcuni episodi di cattiva gestione patrimoniale portarono Perrin in prigione per debiti ed allora lo scaltro Lulli si recò alla Conciergerie a visitarlo ed ottenne da lui la cessione del privilegio in cambio del pagamento dei suoi debiti. Nel marzo 1672 Luigi XIV addirittura inibì a chiunque non fosse il fiorentino di “far cantare qualunque pezzo musicale intero sia in versi francesi che in altra lingua, senza il suo permesso, pena un'ammenda di 10.000 lire”.
Da questo momento, Lulli diventa di diritto e di fatto padrone assoluto della scena lirica francese e lo rimarrà vita natural durante. Il popolo conosce bene le sue melodie facili e lievi mentre la Corte accorre numerosa alla “prima” di  ogni sua opera.  Abita in un sontuoso palazzo,  il sovrano e la regina sono stati suoi testimoni di nozze e hanno tenuto a battesimo i suoi figli,  è sovrintendente del teatro di Corte e fa parte della segreteria di Luigi XIV che, tra l’altro, più di una volta dovrà intervenire personalmente per colmare i non indifferenti debiti di gioco dell’amico Jean-Baptiste.
L'incontro con il librettista Quinault darà inizio al terzo periodo musicale di Lulli, quello della tragedia che lo vedrà produrre dieci opere liriche di soggetto mitologico (Armida, Alceste, ecc,)  nelle quali, cantando l’amore, eccederà forse in lacrime e sospiri, ma dal lato della tecnica musicale il suo stile risulterà innovativo esaltando l'importanza del coro, l'accompagnamento a piena orchestra - invece che con il solo clavicembalo - e l'impiego del quartetto d'archi e degli strumenti a fiato.
Ma proprio nel pieno del successo, a causa di un avvenimento all’apparenza banale e ridicolo, la fortuna volterà le spalle al fiorentino: l’ 8 gennaio 1687, mentre nella chiesa dei Foglianti dirigeva un grande Te Deum per la guarigione del sovrano, Lulli si ferì un piede con un furibondo colpo del bastone con il quale batteva il tempo all’orchestra producendosi un ascesso che, trascurato, degenerò poi in cancrena. Luigi XIV e  i membri della casa reale vanno allora più volte a visitare l'illustre infermo, ma dopo due mesi e mezzo non c’è più niente da fare ed ormai Giovan Battista non può far altro che dettare le sue ultime volontà che stabiliscono vari lasciti a favore di ordini religiosi e di poveri.
Era il 22 marzo 1687  e Lulli aveva 55 anni: dopo che nella cattedrale venne solennemente eseguito il suo Requiem, fu sepolto nella Chiesa dei Petits-Pères. Mentre i parigini lo ricorderanno cantando: “Baptiste est mort ‑ adieu la simphonie ‑ la musique est finie ‑ déplo­rons son sort”, per lungo tempo le gazzette  di tutta Europa ne tesseranno infinite lodi.
                                                                                                      
                                   

                  

                  Carlo Onofrio Gori






Sintesi e rielaborazione dell’articolo di Carlo O. Gori, Giovan Battista Lulli, una stella alla corte del Re Sole, in “Microstoria”, n. 50 (nov.-dic. 2006). 




sabato 1 dicembre 2012

Carlo O. Gori. Settecento. Storia di Vincenzo Lunardi, lucchese, aeronauta in Inghilterra


Volando 
alto 
“conquistò” l’Inghilterra 
e l’Europa

Dal 1854 ogni 8 settembre a San Marcello Pistoiese viene lanciata una mongolfiera, detta il pallone di Santa Celestina, momento più importante della festa della Santa Patrona. Ciò che rende particolarmente significativo l’evento è comunque il legame che il pallone sanmarcellino ha con i fratelli Montgolfier che com’è noto, riuscirono il 19 settembre 1783 a far volare in Francia per circa tre chilometri un pallone spinto da aria calda al quale era legato anche un canestro contenente una pecora, un gallo e un’anatra. Infatti i due fratelli, ospiti della famiglia Cini con la quale erano in rapporto di amicizia e di affari, lasciarono a San Marcello l'impronta della loro invenzione, tanto che vari anni dopo, nel 1854, un grande pallone costruito proprio nella Cartiera Cini, probabilmente in base agli schizzi lasciati a suo tempo dai fratelli Montgolfier, si innalzò nel cielo della Montagna pistoiese.
Tuttavia, pur senza scomodare il genio di Leonardo da Vinci, l’apporto dell’ingegno toscano agli albori del volo non comincia né finisce con i rapporti fra i Cini ed i Montgolfier, come ci ha ricordato una spettacolare manifestazione aerostatica avvenuta nel settembre dello scorso anno con partenza dell’aeroporto di Tassignano nel Comune di Capannori. L'evento, svoltosi nell'ambito del suggestivo Festival delle Ville, è il trofeo "Memorial Vincenzo Lunardi" del quale, per il 15-16-17 settembre di quest’anno è prevista la seconda edizione. Ma chi era Vincenzo Lunardi? Come ricorda un cippo posto nel giardino dell’ospedale di Chelsea a Londra, egli, il 15 settembre del 1784, fu “il primo viaggiatore aereo che attraversando gli spazi volò per 2 ore e 15 minuti”.  Nato a Lucca  3 gennaio 1759, Lunardi, poco disposto a trascorrere il resto della vita negli angusti confini del piccolo stato toscano, fin da giovanissimo abbandonò la sua bella città iniziando a viaggiare per l’Europa tanto che nel 1782 lo troviamo a Londra, segretario del principe di Caramanico, Ambasciatore di Napoli.
Londra era allora la capitale di un immenso impero in formidabile ascesa, la città più importante del mondo, come spesso lo è stata poi anche in altri periodi, sovente disputando questa supremazia con Parigi:  rappresentava allora quello che, all’incirca dalla metà degli anni ’60, rappresenta oggi New York, la “Grande Mela.
Lunardi, in quel 1782, svolgeva il suo lavoro di mediocre routine diplomatica  nelle cinque modeste stanze dell'ambasciata napoletana al n. 56 di New Bond Street e non navigava certo dell'oro, dato che per arrotondare il suo magro stipendio era costretto a rivendere il saporito olio che la famiglia (due sorelle e il suo tutore, cavalier Compagni) periodicamente gli spediva da Lucca. Ventitreenne intelligente ed ambizioso leggeva molto, intuiva che nell'aria stavano maturando strabilianti novità e trascorreva lunghe ore al Museo degli Inventori sentendo sorgere dentro di sé un impaziente intreccio di sogni e di progetti. L'anno successivo non fu quindi sorpreso dalla performace aerostatica dei fratelli Montgolfier che, insieme all'amico Tiberio Cavallo, seguì attentamente sulle gazzette del tempo, come poi si eccitò per l’ascensione di  Pilature de Rozier e del Marchese d’Arlandes, che il  21 novembre 1783 per primi percorsero il cielo di Parigi, per quella dell’inglese Cavendish che nel dicembre del 1783, sempre a Parigi, si elevò utilizzando un pallone a gas e per i fratelli Charles, che usarono l'idrogeno  posto dell'aria calda. Urgeva che fosse effettuato il primo volo sul suolo britannico dopo che, anche in Italia, il 25 febbraio 1784, il marchese Paolo Andreani con i fratelli Carlo e Agostino Gerli avevano solcato quei cieli. Lunardi, forte delle sue cognizioni tecniche, sapeva di essere l’uomo giusto nel posto giusto, e che proprio quello era il momento per alzarsi su Londra ed  uscire definitivamente dalle ristrettezze economiche e dall'anonimato. Gli inizi di quel 1784 furono quindi per il lucchese occupati da una frenetica ricerca di fondi che, grazie al suo convincente entusiasmo finalmente gli vennero da amici e da piccoli artigiani. Progettò e costruì con l'aiuto di Cavallo e del chimico Fordyce un pallone in cui l'unica innovazione rispetto alle formule precedenti fu probabilmente l'invenzione e l'utilizzo di un dispositivo atto a far entrare più rapidamente l'idrogeno nel tubo di rifornimento. Verniciato in rosso, blu e oro, misurava 16 metri di circonferenza, 45 corde scendevano dall'alto fissandolo ad una navicella dotata di 4 grandi remi aerei che secondo le credenze del tempo sarebbero necessariamente serviti per la navigazione orizzontale e per quella verticale. Lì dentro si sarebbe stretto Vincenzo, con una riserva di acido vetriolico in barili, dei sacchi di zavorra, alcuni strumenti per la navigazione, i viveri, un piccione, un gatto e un cane, nonché il suo affezionato finanziatore ed amico Biggin che però, per motivi di spazio e di peso, dovrà poi rimanere a terra. Finalmente, dopo non poche perplessità, il Governatore Sir George Howard dava il permesso per il volo mentre, nell'attesa, il pallone di Lunardi veniva esposto al pubblico che poteva ammirarlo al costo di una ghinea. Ed ecco finalmente il 15 settembre 1784. Quel mercoledì il tempo era buono e Lunardi, salutato dal principe di Galles di fronte ad oltre 150.000 persone, prese il volo sventolando una grande bandiera britannica. Alcuni raccontano che lo storico decollo avvenisse dal campo di parata militare di Moorfields vicino a Moorgate, altri invece dai Chelsea Gardens, praticamente dalla parte opposta di Londra, ma probabilmente qualcuno confonde questa prima ascensione con gli altri numerosi voli che da quel giorno in poi Lunardi effettuò sui cieli britannici, tanto che oggi troviamo disseminate in Inghilterra e in Scozia  lapidi che ricordano decolli, passaggi ed atterraggi del lucchese.
Mentre il pallone saliva lentamente Lunardi, dimenando energicamente (ed inutilmente!) i suoi remi, preso da somma beatitudine, cantò a squarciagola, poi dopo mangiato un pollo arrosto ed aver bevuto una mezza bottiglia di buon vino, Vincenzo lanciò nel vuoto tre lettere: se qualcuno le avesse trovate, doveva farle recapitare agli indirizzi del principe di Caramanico, di Fordyce e dell’amico Biggin. Dopo alcune miglia, essendo scesa la temperatura, Vincenzo decise che era opportuno riabbassarsi e lentamente vide delinearsi le figure di alcuni villici che all’apparire del pallone scappavano verso le colline. Cercò col megafono di far capire loro che qualcuno doveva afferrare le corde che egli avrebbe lanciato e tre giovani, che spauriti si erano rifugiati in un bosco accanto, si fecero coraggio e le agguantarono. Vincenzo saltò a terra per baciarli e abbracciarli e da loro seppe che era giunto nei pressi di Standon nello Hertfordshire. Di lì a poco arrivarono anche altri paesani e, dopo aver liberato il cane e il gatto mezzi morti di freddo e di paura, si fecero allegri brindisi con la buona birra locale. Ma l’ebbrezza del volo e del successo spinse subito Lunardi a saltare nuovamente nella sua navicella e, nel desiderio di salire in fretta sempre più in alto, a buttar fuori tutto quello che era rimasto a bordo: zavorra, piatti, bicchieri ed anche un paio di stivali. Riuscì così a raggiungere i 3.500 metri di altezza e, dopo un breve volo, scese nei pressi della vicina Ware. Aveva complessivamente percorso una ventina di chilometri in due ore e un quarto. Finalmente anche i cieli dello stato più potente della terra erano stati solcati da un aerostato ed il ritorno dell’aeronauta a Londra fu trionfale: una folla enorme di cittadini, soldati, giornalisti, autorità, belle donne costrinse la sua carrozza a procedere a passo d'uomo, poi fu acclamato per tutta la notte. Giorgio III lo ricevette a Corte e, dopo avergli donato un  prezioso orologio d'oro, lo nominò capitano ad honorem del Corpo degli Artiglieri. Da allora il lucchese divenne senz’altro l’italiano che nel XVIII secoloriuscì ad ottenere maggior popolarità in Gran Bretagna facendo anche “tendenza”: medaglie, vassoi, piatti, ritratti, bandiere riprodussero il suo viso e le signore si ornarono di un incredibile copricapo, a forma di pallone, detto “alla Lunardi”. Considerato come il più grande esperto vivente di problemi aeronautici, l’affascinante Vincenzo divenne il “partito” più ambito per ogni fanciulla di buona famiglia, mentre i poeti ne cantavano sperticate lodi ed ad ogni sua ascensione, alcune con a bordo belle dame, seguivano pantagruelici ed interminabili banchetti. Lunardi, dopo aver inventato anche una speciale barchetta a remi sulla quale, vestito da sera, attraversò il Tamigi al cospetto di una folla acclamante, rientrò in Italia nel 1788, dopo cinque anni di assenza. Sbarcato a Genova venne festeggiato come vero eroe italiano ed a Lucca fu poi investito da un'ondata di indescrivibile entusiasmo. Diretto a Napoli, nel suo lentissimo viaggio fitto di festeggiamenti, passò per Roma dove venne praticamente costretto ad esibirsi. Le autorità pontificie fissarono la data ed il luogo per l'8 luglio 1788 nei pressi del Teatro Corea che si trovava nel Mausoleo di Augusto. Quel giorno l'aerostato non riuscì a gonfiarsi a sufficienza e Lunardi, per alleggerirlo, decise di sostituire una tavola della navicella, ma, all'improvviso, il pallone, a causa di un colpo di vento, partì trascinando con sé un involontario viaggiatore, l'ingegnere Carlo Lucangeli che nel frattempo si era aggrappato alle corde. Il pallone scese a nei pressi della Porta di San Pancrazio dove, dicono le cronache, l'ing. Lucangeli arrivò incolume. Dopo questo incidente Lunardi giunsefinalmente a Napoli dove il suo “datore di lavoro”, re Ferdinando IV,  lo accolse con ogni onore. Anche qui, il 13 settembre 1789, prendendo il volo da Largo di Palazzo, dovette necessariamente effettuare la prima ascensione aerostatica del Regno, poi ricordata ed esaltata con odi e sonetti. Ne compì poi altre a Caserta ed a Palermo, ma godendo degli incondizionati favori del Borbone poteva ormai permettersi di trascurare il volo per dedicare la maggior parte del suo tempo agli studi e alla vita galante. I suoi ozi napoletani non durarono però a lungo perché anche le Maestà Cattoliche lo reclamarono in Spagna volendo venisse effettuato il primo volo aerostatico in quel Paese. Ferdinando IV, seppur contrario a privarsi del lucchese, dovette infine piegarsi agli obblighi imposti dagli augusti familiari ed ordinò a Vincenzo di partire. Il 12 agosto 1792 a Madrid un’incredibile navicella fitta di archi, cariatidi di legno, colonne, paraventi, legata ad  un enorme e variopinto pallone si alzò a fatica davanti alla Corte stupita ed ad una enorme folla, raggiunse i 3.000 metri di altezza per poi cadere in un torrente a 25 chilometri dalla città, dove poi Lunardi fu ripescato. L’aeronauta lucchese ebbe appena il tempo di riaversi che 11 giorni dopo, il 24 agosto, dovette nuovamente esibirsi, questa volta a Lisbona in Portogallo.
Ma con l’ascensione lusitana praticamente si concluse il periodo d’oro di Vincenzo Lunardi: negli anni successivi il suo nome venne dimenticato da un’Europa sconvolta dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche. Lo ricordò solo uno scarno annuncio apparso anni dopo, il 31 luglio 1806, sul Gentleman’s Magazine di Londra: “E’ morto…nel convento di Barbadinos, vicino a Lisbona, Vincenzo Lunardi, celebre aeronauta”.  
Oggi invece, a duecento anni esatti dalla sua morte, come testimoniano anche le numerose pagine a lui dedicate su Internet, il suo ricordo è di nuovo ben vivo in Gran Bretagna e fra gli appassionati del volo di tutto il mondo.



                                  

                                 Carlo Onofrio Gori                                                                       









Rielaborazione dell'articolo di Carlo Onofrio Gori, Vincenzo Lunardi, il Montgolfier di casa nostra, in "Microstoria", n. 48 (lug.-ago. 2006)




Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore.

Segnalazioni: 

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carlo gori