Il
“calmiere Lavarini” durante il "Biennio Rosso" 1919-20. Le giornate pistoiesi
ripercorse attraverso i giornali di allora
«OPERAI!!
“Su fratelli, su compagni, Su venite in fitte schiere, Al DUILIO c’è il
Calmiere , che il risparmio vi darà.” Il Vero Calmiere è l’EMPORIO DUILIO
PISTOIA – FRATELLI LAVARINI – PISTOIA Porta Vecchia – Sotto la Torre – Centro
della Città».
Questa
pubblicità, ammiccando all’Inno dei lavoratori, campeggiava nei primi mesi del
1919 in quarta di copertina di due giornali cittadini “Il Popolo pistoiese”,
liberale, e la cattolica “Difesa del popolo”, in realtà la pubblicità Lavarini
compariva anche sul socialista “Avvenire”, ma in forma opportunamente diversa.
Il grande Emporio Lavarini, sovrastato dalla torre della Porta Vecchia graziosamente
trasformata in stile liberty nel 1899 da Giacomo Lavarini ed oggi “smussata” ed
“anonima”, era all’angolo fra via degli Orafi e l’odierna via Buozzi, dove al suo posto c’è attualmente
una profumeria.
Il
proprietario Antonio Lavarini forse non pensava che dopo pochi mesi dopo, il 4
luglio 1919, nel corso dello sciopero generale contro il carovita i lavoratori
sarebbero entrati davvero in “fitte schiere” nell’emporio, la merce asportata,
rubata, gettata alla rinfusa per la strada, la casa sovrastante perquisita.
Evidentemente, in attesa degli effetti del “vero” calmiere ottenuto dalle
agitazioni di quei giorni, il “calmiere-Lavarini” non aveva soddisfatto le
categorie a reddito fisso, le più colpite dalla svalutazione della lira e
dall’aumento dei costo della vita seguite alla ristrutturazione economica
post-bellica.
I
saccheggi dei negozi del Lavarini (che poi aderirà al fascismo) e del Galigani,
furono tuttavia gli unici che si ebbero in città. Quegli esercizi commerciali erano
stati presi di mira perché non si erano cautelati, come avevano fatto altri
esercenti, portando le chiavi alla Camera del Lavoro, che praticamente aveva
assunto il potere, ed erano quindi privi del relativo sindacale “cartellino di
riconoscimento”.
In
effetti il cosidetto “biennio rosso”, dai moti contro il caro-viveri della
primavera del 1919 all’occupazione delle fabbriche del 1920, per estensione
geografica e per il coinvolgimento di tutte le classi sociali, per la profonda
volontà di cambiamento, rappresenta indubbiamente uno dei momenti di più alta
tensione sociale che si siano avuti in Italia.
Le
masse, letteralmente affamate ed esasperate contro gli speculatori molti dei
quali durante la Grande Guerra 1915-18 avevano accumulato fortune enormi,
occupano prepotentemente non solo i negozi, le fabbriche ed i campi, ma anche
la scena politica, anche se ciò non si tradurrà poi in effettiva presa del
potere.
A
Pistoia, come nel resto d’Italia, questo elemento di novità sarà sancito dalle
elezioni politiche del novembre 1919, le prime a suffragio universale maschile
e col sistema proporzionale, che vedranno trionfare i socialisti seguiti dai
cattolici del neonato Partito Popolare Italiano, tali risultati verranno in
sede locale confermati dai socialisti pistoiesi, con la conquista della
maggioranza assoluta, nelle elezioni amministrative dell' ottobre 1920.
Di
tutto ciò si hanno vari echi sulla stampa locale.
Iniziamo
dai democratici pistoiesi (repubblicani, socialisti riformisti, massoni,
Fratellanza artigiana) eredi della gloriosa tradizione della sinistra
risorgimentale mazziniana e garibaldina, che a Pistoia pubblicavano la “Voce
del popolo” (17.5.1919-15.11.1919;
sottotitolo: organo della democrazia pistoiese, direttore Filippo
Civinini); anticlericalismo e
antibolscevismo erano i leit motiv del giornale, sorto in vista delle
elezioni del 1919 nelle quali i
democratici finirono per perdere il tradizionale ruolo di punto contatto
fra borghesia progressista e masse
popolari.
“L’Avvenire”,
organo socialista settimanale del Circondario di Pistoia (7.7. 1901-22.7.1922,
resp. Ugo Trinci, poi Pietro Querci) rispecchia negli articoli e nelle prese di
posizione sugli avvenimenti, le divisioni che allora laceravano il Partito
Socialista che, pur esaltando la rivoluzione leninista ("fare come in
Russia" era lo slogan più gridato) e sostenendo le agitazioni e gli
scioperi, non riuscirà a darsi obiettivi politici intermedi, a creare decisive
alleanze, né in senso riformista, né in senso rivoluzionario, con i mezzadri e
i contadini, fortemente influenzati dai cattolici, e con le classi intermedie
(maestri e impiegati, piccoli commercianti, reduci, ecc.).
Fra
i socialisti pistoiesi finiva per prevalere la corrente massimalista, il cui
leader era a livello nazionale Giacinto Menotti Serrati, raggruppamento spesso
verbale e inconcludente, che auspicava la dittatura proletaria,
deterministicamente ritenuta “immancabile”, e che , ad esempio, vedeva nelle
elezioni soltanto “un mezzo per agitare le masse, per elevarne la temperatura
rivoluzionaria” (“L'Avvenire” 25.10.1919). Seguivano per importanza nei
consensi interni al partito, la corrente comunista astensionista, ispirata da
Amedeo Bordiga (poi primo fondatore nel 1921 del Partito Comunista d’Italia, sezione
dell’Internazionale Comunista di Lenin), particolarmente forte nella sezione di
Capostrada e fra i giovani socialisti, seguiti dai comunisti ordinovisti, ispirati
dalle tesi del foglio del gruppo gramsciano dell’“Ordine nuovo” di Torino, ed attivi
in particolare a San Marcello sotto la guida di Savonarola Signori, poi
dirigente del PCI, mentre infine, nell’ambito sindacale socialista, la Camera
del Lavoro pistoiese, guidata da Alberto Argentieri, era la roccaforte dei
riformisti (che si riferivano alle posizioni dei leaders nazionali Turati, Treves
e Prampolini) rimasti nel partito socialista (nel 1912 al Congresso socialista
di Reggio Emilia, Mussolini, capo della sinistra del partito aveva fatto
espellere gli altri leader riformisti Bonomi, Cabrini e Bissolati) e costretti
sovente “mimetizzarsi” verso gli iscritti con il linguaggio massimalista che
allora andava decisamente per la maggiore.
Pungolava
"da sinistra" “L'Avvenire”, il periodico anarchico pistoiese “Iconoclasta!”
(23.4.1919-1.1.1920, resp. Gino Silvestri, poi Agostino Puccini) che sui fatti
del 4 luglio 1919 uscì con un articolo dal titolo significativo "Esaltiamo
la teppa" (Iconoclasta! 24.20.1919).
La
voce del mondo cattolico era la “Difesa religiosa e sociale” ( 2.2.1896 -
27.12.1919, resp. Michele Regolini) e sostituita dal 15 gennaio 1920 da “La
Bandiera del popolo” (chiusa nel 1925) già supplemento del precedente,
espressione del Partito Popolare entrato ufficialmente nella vita politica
anche per contendere ai socialisti il consenso delle masse.
La
storiografia italiana ha spesso criticato l’anticlericalismo dei socialisti, ma
occorre ricordare che uno dei motivi ricorrenti della maggioranza dei giornali
cattolici italiani era un viscerale antibolscevismo. La stampa cattolica
contando sulla rete delle parrocchie e sul sostegno delle casse rurali, si rivolgeva
essenzialmente ai contadini ed alla piccola borghesia nella difesa dei
tradizionali valori cattolici, famiglia, religione e nella richiesta di
moderate riforme sociali ispirate al principio della collaborazione fra
capitale e lavoro.
All’attenta
lettura di queste pubblicazioni di quel tempo, risaltano evidenti le contraddizioni
fra l’anima conservatrice del partito cattolico e quella popolare.
Ad
esempio a proposito del sindacalista cattolico delle “leghe bianche”, il cremonese
Guido Miglioli (poi leader della sinistra cattolica e nel secondo dopoguerra
esponente del PCI), noto a livello nazionale per il suo slogan “la terra ai
contadini” e in questo periodo spesso presente anche a Pistoia, i
"conservatori-cattolici" pistoiesi puntano l'indice contro
“…l’eccesso del rivoluzionarismo
tendente ad ottenere il predominio di una classe a discapito dei diritti di
tutte le altre, che l’on. Miglioli co’ suoi scarsi seguaci sembra essersi preso
l’arduo incarico di tenere a battesimo” ("Difesa" 21.6.1919), mentre invece
i "cattolici-popolari" scrivono “… le idee dell’on. Miglioli in fatto
di riforme agrarie, così malamente e moncamente riferite dalla stampa,
enunziate dalla sua voce e svolte nel suo ragionamento appariscono lucide e
chiare se pure talvolta di concezione ardita. E sopra tutto impressiona lo
spirito intimamente cristiano al quale egli informa il suo dire…”
("Bandiera" 15.1.1920).
A
fronte delle solide, diffuse ed articolate strutture partitiche popolari,
socialiste o cattoliche, alle elezioni del 1919 invece si ridimensionano fin
quasi a sparire , i liberal-conservatori e i democratico-borghesi, sintomo
della crisi profonda del vecchio sistema politico fondato sul prestigio
personale, sui comitati elettorali e sulle pratiche clientelari (detto per
inciso un sistema che oggi sembra, mutatis mutandis, sostanzialmente tornato in
auge in Italia dopo la fine della “prima repubblica”). Queste, non a caso,
erano state le forze più nettamente interventiste e nel territorio pistoiese
avevano, tra gli altri, un illustre rappresentante nel fiorentino-monsummanese
Ferdinando Martini, già ministro e bocciato in quello tornata elettorale (vd. )
.
Il
Popolo pistoiese (18.6. 1881 – 24.12.1926, resp. nel 1919 Carlo Susini ) era la
voce del Partito Liberale, un partito “leggero”, si direbbe oggi, e una forza rappresentativa della proprietà
terriera conservatrice che fin dal 1860 fino al 1919, a volte alleandosi con la
destra cattolica, domina la scena politica locale. Nel 1919 viene eletto in
queste file il giovane e brillante proprietario terriero ex-combattente avv.
Dino Philipson, il cui nome era curiosamente storpiato dai popolani in
“Filìssone”, che sarà poi uno dei fondatori del fascismo pistoiese. Questo non
a caso, poiché di fronte ai moti popolari alle agitazioni contadine
all’occupazione delle fabbriche, già nel 1919-20 nel pistoiese, si incominciano
a formare in ambiente monarchico-liberale, sotto l’impulso di agrari e industriali locali, “fasci” di
“forze d’ordine” che raccoglieranno adesioni di forze socialmente e
politicamente eterogenee, noto il caso del transfuga socialista Ildebrando
Targioni più volte ospitato sulle colonne del "Popolo", comunque di
estrazione interventista, unite nella lotta al “disordine” ed al bolscevismo.
Andranno a costituire la base di massa del mussoliniano neonato movimento fascista,
che, ricordiamolo, nel 1919 a livello nazionale otterrà solo poche migliaia di
voti.
Carlo Onofrio Gori
Originale del mio articolo comparso con lo stesso tit., ma in forma ridotta, sulla rivista "Microstoria", n. 11 (mag. 2000)
Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore
Necessario "avviso ai naviganti": anonimi estensori della voce "Storia di Pistoia" su Wikipedia, hanno dal 2007 in poi ampiamente "saccheggiato", inserendoli pari-pari e senza virgolette in quella pagina (ed in particolare nei capitoli "La genesi", "La marcia su Roma" e "Gli irriducibili della Valtellina"), questi miei articoli sul fascismo pistoiese precedentemente comparsi sulla rivista "Microstoria": Carlo O. Gori, Figure del fascismo pistoiese. Una città che non seppe esprimere figure forti in "Microstoria", n. 16 (mar.-apr. 2001); Carlo O. Gori, La “marcia su Roma” di un fascio diviso. Pistoia presidio fascista sulla Porrettana, in "Microstoria", n. 25 (set.-ott. 2002); Carlo O. Gori, Gli irriducibili fascisti pistoiesi della Valtellina. Le vicende di Giorgio Pisanò e degli altri fedelissimi del regime, in "Microstoria", n. 33 (gen.-feb. 2004) e successivamente riprodotti da me stesso sui miei siti web (marivan xoomer virgilio) e blog (historiablogori.splinder.it e goriblogstoria.blogspot.com).
Li ringrazio per la fiducia accordatami, ma purtroppo l'hanno fatto senza citare o nelle note o in bibliografia le fonti, che poi sarebbero il sottoscritto, la rivista o i blog da cui essi li hanno tratti.
Spero vivamente che venga posto rimedio a quell'omissione delle fonti ed anche che non accada in futuro con questo articolo (per il resto come sempre nelle dovute e corrette forme citabilissimo, ovviamente da parte di coloro ai quali piace) che ai suddetti anonimi estensori Wikipedia "Storia di Pistoia" servirebbe parzialmente a "coprire" il periodo precedente a quelli da loro presi in esame.
A Franco Aiello, Paolo Cerretini, Maria Lorello e altri 8 (Fabio Panerai, Emiliano Nappini, Gianluca Camillo,Giordano Bonciani, Federico Gorbi, Adriana Bonaconsa, Lucia Antico, Chiara Corsini) piace questo elemento.