Com’è
noto, a Curtatone e Montanara, il 29 maggio 1848, i toscani, insieme ad un
piccolo contingente napoletano, si batterono con valore contro un nemico
esperto, agguerrito e preponderante, e pur dovendo alla fine ripiegare diedero
il tempo ai sardo-piemontesi di prepararsi per affrontare vittoriosamente, il
giorno seguente, il grosso dell'armata austriaca a Goito: successo purtroppo
poi non sfruttato.
Alla
fine di quella giornata non tutti i combattenti ebbero il tempo di ritirarsi:
rimasero infatti nelle mani degli austriaci ben 1276 prigionieri, toscani in
massima parte e fra questi 29 pistoiesi che avevano avuto tra le loro fila 6
caduti e 12 feriti (1). Alcuni cimeli, ritratti e documenti conservati nella
Biblioteca Forteguerriana di Pistoia ci parlano della loro sorte, ma è
soprattutto nel libro Ricordi storici del battaglione universitario toscano del
reduce pistoiese Gherardo Nerucci, poi noto autore delleSessanta novelle
popolari montalesi, che troviamo le testimonianze particolarmente dettagliate e
preziose di Tarugio Tarugi, montepulcianese, e di Alfonso Ademollo, fiorentino
(2). A noi infatti, più che sulle fasi, sui protagonisti o sul significato di
quell’evento, su cui anche recentemente sono apparsi alcuni articoli (3) e che
al di là di ogni retorica riteniamo fondamentale per la riscoperta delle radici
dell’identità toscana e nazionale, sembra stimolante soffermarsi ora sulle
vicissitudini di quei prigionieri, anche perché essi, dopo una marcia forzata
di 15-20 miglia giornaliere, vennero poi internati a Theresienstadt, una
città-fortezza boema, dedicata all’Imperatrice Maria Teresa, che ospiterà
prigionieri italiani anche durante la prima guerra mondiale, ma divenuta
universalmente e tragicamente nota col nome cèco di Terezin soprattutto dopo
l’ultima guerra mondiale.
Terezin
fu infatti l’unico lager nazista in cui vennero concentrati solo bambini ebrei
(15.000) nel passaggio verso Auschwitz e
la “soluzione finale” alla quale appena un centinaio sopravvisse:
Theresienstadt-Terezin, oggi “luogo della memoria”, da sempre luogo di
terrore? Vedremo.
Ma
torniamo ai prigionieri del 1848 per notare, fin da ora, due costanti di tutto
quel viaggio: la comunanza fraterna fra i volontari provenienti da varie città
toscane, cosa insolita per una regione da sempre rósa da dispute
campanilistiche, ed i non facili rapporti fra gli studenti ed i soldati
granducali, i “così detti bianchini… che
– nota Tarugi – è bello tacere cosa
fossero di scellerato”(4). Quest’ultimi, inviati obtorto collo da Leopoldo II
in Lombardia, già prima della battaglia avevano mostrato insofferenza verso i
“signorini” studenti ritenendosi trascinati dal loro idealismo nei pericoli di
una guerra alla quale, evidentemente, avrebbero preferito sottrarsi. Tuttavia i
“bianchini” (dal colore della loro divisa spesso confusa sul campo con quella
degli austriaci) poi si batterono bene, ed anzi, quando “a caldo” alcuni
studenti prigionieri furono minacciati, in quanto “irregolari”, di fucilazione,
essi offrirono di ceder loro alcuni capi del proprio vestiario affinché
potessero camuffarsi da soldati dei reggimenti di Linea.
Dal 3 al
5 giugno i prigionieri intraprendono la marcia da “Mantova a Verona…la più
penosa di tutte le altre fino a Theresienstadt” (5). Nella città scaligera
possono finalmente dissetarsi, sfamarsi e pensare alle famiglie lontane, ma i
contatti postali con la Toscana sono interrotti e bisogna arrangiarsi: il
pistoiese Pietro Fanfani, poi celebre vocabolarista, prova ad es. ad avvertire
il collaboratore veronese della sua rivista “Ricordi filologici e
letterari”, P. Bartolomeo Sorio,
affinché questi successivamente scriva a Pistoia che lui ed altri concittadini
come Francesco Bianchini, Giuseppe Bracciolini, Icilio Capecchi , Francesco Vannetti,
ecc., sono vivi, ma prigionieri (6).
Ripresa
la marcia i prigionieri entrano nell’allora denominato “Tirolo italiano”, che
in sostanza corrisponde all’attuale Trentino, giungendo il 7 ad Ala, poco sopra
il Lago di Garda, anche questo poi “luogo significativo” perché qui dal 1866
fino alla prima guerra mondiale sarà stabilito il posto di confine, sulla
strada del Brennero, fra Italia ed Impero Austroungarico, confine poi
ristabilito da Hitler nel 1943-44 durante l’effimera Repubblica di Salò (7). In questa zona i “nostri” hanno per un tratto
di strada come guardiani un reparto di studenti viennesi militarizzati con i
quali, ricordano, era possibile fraternizzare: “ …in ogni paese Italiano o
Tedesco …gli Studenti erano i primi ad avvicinarsi a noi…uno Studente era
riguardato come un vecchio amico”(8). Saranno via via poi presi in consegna da
soldati delle varie nazionalità componenti quel gran mosaico che era l’Impero
Asburgico: rigidi, ma corretti gli austriaci, con l’eccezione però dei
tirolesi, insieme ai croati sempre particolarmente duri, spesso gentili invece
gli ungheresi, quasi complici infine i triveneti che spesso, ma sottovoce, li
saluteranno con un “Viva l’Italia”. A Trento infatti i “nostri” trovano
eccezionale accoglienza: “Le…persone …gettavano pezzi di pane, danari …e…ci
abbracciavano piangendo” (9).
La
situazione cambierà ben presto nel “Tirolo tedesco”, che andava dalla zona di
Bolzano (10) a quella di Innsbruck, dove invece i prigionieri registreranno
“segni di odio da quella popolazione” tanto che riterranno “prudenziale”
serrare i ranghi e “non dividersi” (11).
Significativo
il passaggio del 14 per il Brennero “con…in cuore la speranza che un giorno la
nostra patria avrebbe raggiunto quel suo confine naturale” (12). Dopo
Innsbruck, spesso pernottando all’aperto e mangiando “poco e pessimo pane
intriso nel latte inacidito” (13) i prigionieri passano per Salisburgo e
giungono a Linz, città che ricorderanno con nostalgia: “Il suo bel
Lungo-Danubio – scrive Tarugi - mi rammentava il Lungarno di Pisa” (14), mentre
Ademollo nota: “…una delle più belle città dell’Austria…fornita di vapori
fluviali per Vienna e l’Ungheria …[con] i loro equipaggi composti quasi
totalmente da Livornesi” (15).
Ripreso
il cammino i “nostri” entrano in Boemia ed il 5 luglio, giunti a Budweiss,
vengono divisi: i “regolari” sono inviati verso le fortezze di Koenigsgratz e
di Josephstadt, mentre i volontari, studenti e non, compresi una ventina di
soldati napoletani, verso Theresienstadt.
E’ con
gli studenti boemi che ora i “nostri” riescono a stringere forti legami di
simpatia anche perché pochi giorni prima nella vicina Praga si era verificata
una rivolta antiasburgica: “c’intendevamo…più di tutto con la lingua latina,
nella quale…potevano dirsi maestri” (16) – ed essi – “subito chiedevano all’Uffiziale di scorta…di
portarci nelle loro case a pranzo” (17).
Giungono
finalmente a Theresienstadt “che fece l’ingegnere Pellegrini di Milano, a’ suoi
tempi…In fondo di questa fortezza esisteva un ampio seguito a ferro di cavallo
di casematte di due piani e in una parte di queste i prigionieri furono
collocati…dinanzi ad un alto impalancato di legno” (18).
Sui
“nostri” gravano ora la “monotonia della vita di caserma” unita alla
preoccupazione per non poter ricevere o spedire notizie ai familiari. “In
seguito le lettere arrivarono, l’animo tornò più tranquillo ed allora
cominciammo ad arrabattarci per passare meglio che si poteva il nostro tempo”
(19). Si prova a dipingere avendo come maestro il pittore pistoiese Demostene
Macciò, ma soprattutto si organizzano concerti d’ opera italiana “sotto la
direzione di Baco Canovai, di Gherardi del Testa e di altri
prigionieri…melodie…da noi tanto bene riprodotte…che le famiglie degli
Uffiziali, rotte le consegne delle sentinelle…vollero entrare nel piazzale
riservato per vederci e udirci da vicino. Lo stesso nostro burbero comandante
dismise i suoi rigori e concesse che alcuni di noi tutti i giorni potessero
…uscire dalla fortezza …e anche facoltà di condursi in qualche città
della finitima Sassonia” (20).
I
“nostri” possono così “gustare dei discreti manicaretti, fra’ quali la lepre
cotta in più modi” (21), ma non solo: “a Leitmoritz (sic.)[esattamente:
Leitmeritz in tedesco e Litoměřice in ceco N.d.A.]…sull’Elba – ricorda Ademollo
– città…fornita di una copiosissima
libreria potemmo abbellirci di quanti libri Francesi e Tedeschi volevamo…unico
e solo libro Italiano che ci trovavamo fu la raccolta delle Poesie del
Giusti [la cui fama]…si era spinta per
un buon tratto nel settentrione”(22).
In
sostanza la permanenza a Theresienstad sarà via via per i “nostri” talmente
piacevole che Tarugi noterà: “Se non mi avessero fatto difetto i soldi quel
periodo di prigionia sarebbe stato per me una vera villeggiatura” (23). Tutto
ciò oltre ad un istintivo di nostalgia per i modi cavallereschi dei “bei tempi
andati” non può che provocare oggi in noi una profonda angoscia ben sapendo
cosa accadrà proprio in quel luogo quasi cent’anni dopo.
Finalmente
il 24 agosto i toscani apprendono dell’Armistizio di Salasco ed ora, non più
prigionieri, potranno ripercorrere con comodo (addirittura a Linz troveranno
l’inviato del governo toscano Ubaldino Peruzzi che fornirà loro gli arretrati
della paga!) la strada dell’andata per
rientrare a settembre inoltrato in patria.
Carlo O. Gori
Carlo Gori - Carlo O. Gori - Carlo Onofrio Gori
Questo articolo è riproducibile, del tutto o in parte, avendo però cura di citare chiaramente l'autore e le fonti.
Sintesi e rielaborazione degli articoli di Carlo O. Gori:
Theresienstadt, prigione d’eroi. L’internamento in Boemia dei volontari toscani del 1848 nel ricordo di alcuni patrioti pistoiesi, in “Microstoria”, n. 47 (mag.-giu. 2006);
Da Curtatone e Montanara a Terezin: il lungo viaggio dei prigionieri toscani del 1848, in "Camicia rossa", n. 2/3 (mag./set. 2010).
Per le note consultare i diversi articoli aventi lo stesso argomento sulle riviste suddette.
E' possibile la riproduzione parziale e/o integrale di questo articolo previo consenso dell'autore o comunque citando lo stesso. Carlo O. Gori
cog@interfree.it
| ||||||||
Caro Carlo ti informo che la "Rassegna storica del Risorgimento" - fascicolo lug-sett.2010 ha segnalato, nello spoglio degli articoli di interesse risorgimentale, il tuoi: -Da Curtatone e Montanara a Terezin -Gli artefici della nuova Italia nelle targhe delle vie cittadine entrambi pubblicati nella nostra rivista "Camicia Rossa". Certo che gradirai questa autorevole segnalazione, ti saluto con cordiale amicizia Sergio Goretti "carlo gori" |