E’ da vario tempo che mi occupo di
Giuseppe Civinini, per cui ho maneggiato un po' le sue carte , come quelle di
altri personaggi pistoiesi del Risorgimento e ritengo che forse Civinini sia da
considerarsi il personaggio più rappresentativo del Risorgimento pistoiese soprattutto
per i molteplici piani su cui seppe, pur avendo una vita molto breve, ben
muoversi.
Venendo al Civinini del 1866 a
Bezzecca, ricordo che iniziai il mio primo articolo su Civinini proprio
partendo da quel periodo facendo riferimento al garibaldino Giuseppe Guerzoni
che così ricorda la battaglia di Bezzecca, unica vittoria italiana nella mal
condotta guerra del '66: “La strada di Triarno è tempestata di proiettili
nemici e Garibaldi è il più cercato bersaglio. I suoi aiutanti Cairoli,
Albanesi, Damiani, Miceli, Coriolato e Civinini gli fanno scudo con i loro
corpi” (1) Troviamo quindi Civinini proprio nel bel mezzo del fatto d’armi
trentino del 21 luglio 1866, poi, anche giustamente, registrato nel senso
storico nazionale, come famosa e vittoriosa battaglia. Civinini era stato segretario
di Garibaldi ad Aspromonte e nella prigionia al Varignano, il sopra ricordato
Giuseppe Guerzoni era segretario di Garibaldi poco prima che iniziasse la
guerra del ‘66, ma per una fuga di notizie da Caprera, relativa alla possibile
spedizione garibaldina in Dalmazia, fu giubilato proprio per questa fuga di
notizie. Un'altra cosa importante che riguarda Garibaldi, Civinini e questa
battaglia è la grossa daga che si trova e si può osservare in Sala II della
Biblioteca Forteguerriana appartenuta ad un guastatore austriaco e regalata da
Garibaldi a Civinini evidentemente per sdebitarsi con l’amico. Nel 1866
Civinini aveva 31 anni ed era da pochi mesi deputato pistoiese al Parlamento
nazionale e pur essendosi opposto ad una guerra che -disse lui- dava intero il
paese a La Marmora e ai suoi compari che daranno all'Italia una seconda Novara
(e ci andò vicino) aveva sentito il dovere di arruolarsi, al contrario ad
esempio del Carducci, a quel tempo professore a Bologna, che aveva scritto
“guerra ai tedeschi, immensa eterna guerra” (intendendo ovviamente gli
austriaci e non i prussiani) e che non si era sognato né ora, né nel '59 di
partire. Anche questo spiega l'uomo Civinini che nella sua intensa vita ebbe a
rivestire vari ruoli: cospiratore mazziniano, ufficiale garibaldino, massone,
giornalista, direttore noto, abile e polemico, politico e deputato appassionato
e discusso, figura di primo piano del movimento democratico della Sinistra
risorgimentale ed infine esponente della Destra ricasoliana. Una personalità
indubbiamente complessa, non priva di evidenti contraddizioni e che tuttavia,
elevandosi dall'ambito pistoiese ad una dimensione nazionale, attraversa gli
anni della formazione dello Stato Unitario se non da protagonista non certo da
anonima comparsa. Civinini venne nel tempo, in varie ed alterne circostanze, onorato
in Pistoia e ricordo l'ultimo appuntamento a cui ho partecipato nel febbraio-marzo
2012 alla Villa di Scornio dove si svolse il Convegno sui “Busti ritrovati” (2);tra
l'altro in quell’occasione vennero ricordati anche i due “busti ritrovati” di
Civinini: uno opera di Adelaide Pandiani che raffigurava Civinini in divisa di
garibaldino e l'altro di Civinini in divisa da deputato (in divisa tra
virgolette, naturalmente), scultura pronta per il monumento funebre.
Anche questo ci riporta alla
narrazione del Risorgimento; c'è stata una narrazione ( ma storytelling purtroppo
sovente si preferisce dir oggi all’inglese…) trionfalisticamente “edulcorata”
ed “unitaria” che è passata nella cultura media italiana dalla fine del
Risorgimento e che ha riguardato soprattutto le classi medio-borghesi (è
inutile che ricordi il libro Cuore su cui alle elementari si sono
formati in tanti di quelli presenti qui, stasera, che hanno qualche anno sul
groppone). Una “religione-laica”, però aperta sempre più, soprattutto dopo il
Concordato, anche ai cattolici, e che quindi è passata anche attraverso il
fascismo - sebbene nel fascismo ci fossero due correnti: una, la maggioritaria
e debitrice nei confronti della monarchia sabauda , che si vedeva come vera e
autentica continuatrice del Risorgimento “unitario” e l'altra invece, (soprattutto
proveniente dalla parte originariamente futurista del movimento), di rottura
con tutta l’Italia prefascista e quindi anche col Risorgimento “unitario”,
parte di questa tendenza tornata alla ribalta nel ’43-’45, esaltata dalla
propaganda repubblicana della RSI sia nei proclami di . F.T. Marinetti a Salò, che
nei manifesti “mazziniani” di Boccasile). Una “religione laica” del
Risorgimento (ovviamente utile politicamente a molti a fine propagandistico e altrettanto
ovviamente diversa e più complessa per gli storici, i cosiddetti “addetti ai
lavori”) corroborata anche sul fronte opposto dall’impegno pluralista contro il
nazi-fascismo durante la Resistenza ( anche qui ovviamente con le dovute
differenze: ad es. la famosa partigiana “Brigata Maiella” comandata da Ettore
Troilo che dall’Abruzzo risalì poi combattendo a fianco degli Alleati e del
ricostituito Regio Esercito fino alla Gotica e alla liberazione di Bologna, fermamente
rifiutò per le idee socialiste e mazziane dei suoi componenti l’offerto
inquadramento ufficiale in quest’ultimo). Una “religione laica unitaria” del
Risorgimento che ebbe una ripresa, malgrado la rottura politica e il Garibaldi
del Fronte Popolare, nei governi a guida democristiana del dopoguerra fino al
1961, anno dell’ufficiale e trionfale celebrazione del primo Centenario dell'Unità d'Italia e che poi, via
via, confrontandosi con una realtà sociale mutata e criticamente mutevole e
con, nello specifico, più frequenti revisioni storiche sovente “di parte”, (dal
“risorgimento tradito” del radicalismo democratico, passando poi per i “rimpianti
federalistici” dei repubblicani autonomisti contro l’ ”annessione piemontese”,
il mai cessato risentimento anti-massonico e anti-laico dei cattolici
integralisti e per finire alle sempre più frequenti nostalgie neo-borboniche
dall’altra), è andata scemando fin quasi ad esaurirsi. Ecco perché anche qui a
Pistoia il busto del Civinini era finito poi, come tante altre sculture “minori”
ed iconografie di oggetto risorgimentale, dalle sale e dai corridoi dei palazzi che li esponevano, nelle loro cantine
dove poi nel 2011 (anche per l’impulso dato in precedenza in tal senso dai
Presidenti del Consiglio Spadolini e Craxi, a dai Presidenti della Repubblica
Ciampi e Napolitano) sono stati, giustamente, proprio perché “ripuliti” da
tutta la precedente patina retorica, oggi “ritrovati” anche qui a Pistoia. Ma
ora ripassiamo un attimo la figura del Civinini e poi torniamo a Bezzecca. Civinini
nasce a Pisa nel 1835 e nel '44 purtroppo muore il padre Filippo, pistoiese,
noto medico e professore nell’Ateneo Pisano e Giuseppe torna a Pistoia con la
madre Gioconda Marini e la sorella Giulia. La famiglia era quindi una famiglia
borghese fino alla morte del capofamiglia abbastanza agiata. Civinini si mostra
molto precoce: a 15 anni aderisce alla Giovane Italia ed è ricercato per questo
dalla Polizia Granducale e si rifugia da solo a Liverpool e poi a Genova; viene
estradato in Toscana e viene incarcerato; tiene testa agli interrogatori e gli
inquirenti sono costretti a rilasciarlo. Seguono sette anni di intensa attività
cospirativa che lo vedono alternarsi tra Toscana e Piemonte, ospite frequente
sia delle carceri granducali sia di quelle del Regno Sardo. Incontra in questo
periodo vari personaggi, anche pistoiesi come il mazziniano Francesco Franchini,
altro personaggio pistoiese interessante, e a Firenze dove conosce i fratelli
Bianchi della tipografia Bianchi e Barbèra ed è poi sospettato di appartenere
alla rete del pratese Pietro Cironi. A Firenze è aiutato dalla marchesa Lucrezia
Firidolfi, moglie del Barone Ricasoli e anche ciò avrà un peso nel successivo
cambiamento politico. Poi con il mazziniano Maurizio Quadrio prepara senza
successo una insurrezione a Livorno nel 1857. Ma due amicizie che contano sono
con personaggi che diverranno esponenti di primo piano della Massoneria
italiana e che avranno un peso fondamentale nelle sue scelte; quella col
repubblicano lucchese Antonio Mordini e quella col livornese amico di Mazzini,
Antonio Lemmi, poi definito il “banchiere del Risorgimento”. Civinini segue
Lemmi per due anni, prima in Svizzera e poi a Costantinopoli, come istitutore
dei suoi figli. Intanto nel 1859, anno della guerra austro-franco-piemontese,
un sollevamento caccia il granduca Leopoldo II ed un plebiscito, sotto la regia
di Ricasoli, sancisce l'annessione della Toscana al Regno sabaudo. Come si sa,
i plebisciti erano quasi tutti in
sostanza, “falsi”: qui in Toscana giravano fra l'altro delle pesanti minacce,
soprattutto col motto: “regno separato,
legno assicurato” intendendo con la sineddoche “legno” la cassa da morto, evidentemente
destinata a chi non avesse votato per l’annessione: ne’ fatti il voto non era
poi tanto segreto… Nel '60 Civinini, superata ormai l'intransigenza mazziniana,
inizia la sua fase garibaldina; lascia il Bosforo e raggiunge nel giugno il Generale
che gli affida incarichi nell'intendenza dell'esercito, dove si distingue per
competenza e correttezza. Stretto collaboratore e poi segretario di Garibaldi
lo segue nel '62 in Aspromonte e ne condivide la prigionia al Varignano e poi
l'esilio a Caprera. In questo periodo fu una firma nota del giornalismo
politico. Già da mazziniano aveva esordito a Genova, collaborando a «L'Italia
del popolo» e a Cuneo alla «Sentinella delle Alpi». A Torino Civinini diventa
redattore e poi direttore della voce del partito garibaldino, il giornale «Il
diritto», di proprietà dell'amico Lemmi e si affilia alla loggia massonica
Dante Alighieri, dove trova, fra gli altri, Agostino De Pretis, Saffi e
Mordini. Dopo Aspromonte Civinini si avvicina alle posizioni legalitarie di
quella parte dei democratici – Crispi, Bargoni, Mordini, Lazzaro ecc.- che di
lì a poco verranno inizialmente sconfessati da Garibaldi e in sintonia con
Crispi afferma che “la guerra che noi vogliamo ora Civinini, il Parlamento e
fuori non può vincersi a scoppiettate - riferendosi ad Aspromonte - finirà
soltanto quel giorno in cui il re d'Italia salirà sul Campidoglio”
Con la Convenzione di Settembre ed
il trasferimento della Capitale a Firenze, insieme a Crispi, Civinini si oppone
allo spostamento, entrando in attrito con l'amico Mordini e giocoforza sposta poi
la sede del giornale «Il diritto» in Toscana.
Conosciuto ormai in tutto il paese
per la sua attività giornalistica e politica è candidato in più collegi a
livello nazionale per la IX Legislatura. Civinini viene eletto a Pistoia nel
ballottaggio delle elezioni suppletive nel Collegio di Pistoia II con 337 voti,
contro i 317 del moderato Giovanni Camici appoggiato da «La Nazione», giornale
della consorteria di Ricasoli e Minghetti. Le cifre confermano come il
suffragio e la politica parlamentare fossero allora appannaggio di pochi
istruiti e lo saranno ancora per molto anche sotto la Sinistra parlamentare.
Tuttavia Civinini, al contrario del suo avversario, presenta un programma
elettorale e viene appoggiato da un manifesto dei non aventi diritto al voto
che erano naturalmente più numerosi dei votanti. Torniamo così al 1866, un anno
fondamentale per Civinini e anche per la Sinistra parlamentare. Ci sono alcuni
argomenti sul tappeto politico: una valutazione della Sinistra circa la
questione romana, la liberazione del Veneto a fronte della proposta di alleanza
prussiana, una grossa crisi finanziaria statale per il debito pubblico che il
nuovo Stato si era trovato a sostenere, accollandosi i debiti degli Stati
preesistenti con le annessioni; poi si cercò di mettere una toppa al disastro
finanziario statale ricorrendo al corso forzoso della lira. Nelle prese di
posizione dei vari esponenti su questi temi si accentra il processo di
disgregazione della Sinistra parlamentare rimasta spesso in bilico tra l'ala
legalitaria e quella rivoluzionaria. Civinini si oppone fieramente alla guerra
-come si diceva- perché gestita dal governo di Destra e rimprovera i suoi
compagni, questa volta, di sacrificare la Libertà all'Unità, provocando su
questo una prima clamorosa rottura col Crispi che aveva appoggiato il corso
forzoso ed era stato poi relatore del disegno di legge per la tutela della
sicurezza interna dello Stato, votando insieme alla Destra, naturalmente. Già
nel suo primo discorso parlamentare nella tornata del 3 marzo 1866, a fronte
degli argomenti di finanza e guerra, riguardo all'interpellanza Pepoli e e al
successivo intervento di un suo compagno di schieramento che invitava invece a
pensare al risanamento finanziario e non alla guerra, Civinini si dichiarava
moderatamente possibilista sulla guerra ma per fare soprattutto gli interessi
italiani e non principalmente quelli prussiani, come invece gli appariva;
mentre era preoccupato soprattutto del fatto che la Destra reazionaria, quella
piemontese, di La Marmora e anche del Re, con la scusa della guerra inducesse
il Parlamento ad approvare misure liberticide. Disse poi che non voleva sentire
parlare di guerra fintanto che non fossero stati i democratici, divenuti
padroni del governo, a dichiararla e attuarla. In seguito ai forti dissensi
nella Sinistra – si è detto di quelli con Crispi- Civinini è costretto a
lasciare la direzione de «Il diritto» e fonda «Il nuovo diritto» non prima di
generare un rimescolamento politico che favorirà sempre più frequenti intese
fra Destra liberale e Sinistra moderata e che preluderà, dopo l'avvento della
Sinistra – ma molti anni dopo – al “certificato” trasformismo, quello
depretisiano degli anni successivi.
Le operazioni belliche progettate
nel 1866 previdero da parte del governo , com’era avvenuto anche con
“Cacciatori delle Alpi” nella guerra del 1859, e la concessione a Garibaldi di reclutare un corpo ausiliario
di volontari da dislocare come base di
partenza sul Garda e da gettare in
azione diversiva su una parte apparentemente secondaria del fronte, (ai
volontari questa volta era stato tra l’altro permesso di indossare come divisa
l’amata camicia rossa), da affiancare all'esercito regolare, nel quale ora
militano come generali “sabaudi” molti vecchi collaboratori di Garibaldi,
vedono dissenziente per le succitate ragioni una parte non irrilevante della
Sinistra repubblicana. Tuttavia alla fine molti democratici, sia delle correnti
degli “irriducibili, sia delle correnti più “possibiliste” finiscono per
arruolarsi: Alberto Mario ed altri raggiungono sul Garda il Generale e fra
questi anche Civinini che riprende posto nello Stato maggiore garibaldino.
Tutte le sue lettere, a partire da questo momento, sono infatti intestate “Stato
Maggiore” e “Corpo di Stato Maggiore”.
E veniamo finalmente un po' a
vedere Civinini in questi frangenti della guerra del '66. Ho cercato di mettere
insieme e confrontare le lettere scritte e ricevute, in quei giorni da Civinini
con il cronoprogramma degli avvenimenti logistico e bellici ordinati da
Garibaldi e dai suoi volontari. Si sa che la prevista campagna garibaldina gardesana-
trentina non era facile, che partirono 38mila volontari, ma parecchi erano
ancora a Bari alla fine delle ostilità (perché gli arruolamenti avvenivano un
po’ in tutta Italia e quelli di Bari quindi non arrivarono mai). La campagna
non è che si presentasse facile, sebbene, come già accennato, il fronte
garibaldino, tutto sommato, rispetto al teatro principale di questa “strana
guerra” - preceduta da contraddittorie e
frenetiche trattative diplomatiche –alla fine evidentemente abortite – fosse considerato secondario. Perché,
diciamolo francamente, i prussiani, nel caso della prevista vittoria sull’Austria,
il Tirolo all’Italia non glielo avrebbero mai concesso perché territorio
facente parte della Confederazione tedesca e perciò non sottoposto a trattativa
infatti il Trentino allora si chiamava Sud Tirolo o Tirolo italiano, mentre il
Tirolo cominciava a Bolzano ed andava fino ad Innsbruck mentre com’è noto,
l’Austria denominava ancora ufficialmente nel 1866, il suo territorio
“italiano” malgrado la Lombardia fosse stata persa col ’59 “Regno
Lombardo-Veneto” per la presenza in esso della lombarda Mantova, fortezza del
Quadrilatero e della riva sinistra del Mincio e quindi il cosiddetto “Königreich
Lombardo-Venetien” formalmente per l’Austria cesserà di esistere solo nel 1866
con l'annessione del Veneto, della provincia di Mantova e del Friuli al Regno
d'Italia sancita dal Trattato di Vienna. Per arrivare alla “frontiera naturale”
del Brennero, occorrerà quindi all’Italia affrontare un’altra guerra, quella
del 1915-18, finita con la disgregazione generale delle monarchie imperiali
tedesche.
Tornando alle operazioni belliche gardesano-trentine
notiamo che il 20 giugno Garibaldi pone il suo quartier generale a Salò, sulla
riva bresciana del Garda dove dispone, fra l'altro, anche di una piccola flotta
lacustre (ben poca cosa rispetto ai battelli armati austriaci che erano sul
Lago) formata soprattutto da marinai anconetani e livornesi. A proposito dei
livornesi, questo mi fa pensare ad un mio vecchio articolo sul trasferimento a
Therensienstadt dei prigionieri del 1848 che arrivarono a Linz e trovarono sul
Danubio proprio i battelli guidati dai livornesi. Si vede che i nostri
corregionali labronici erano marinai esperti anche di acqua dolce2. (3)
Civinini, dalle lettere che ho
potuto consultare io, non mi sembra che avesse molta voglia di presentarsi a
questa guerra, cioè che lo dovesse fare per il suo prestigio militare
garibaldino e la sua posizione nella
sinistra democratica, ma in cuor suo “politicamente” non ne avesse molta voglia.
Intanto Garibaldi stabilisce il suo Quartier generale il 20 giugno presso Salò
e il 23 giugno Civinini si attarda ancora
a Firenze da dove scrive una lettera alla madre; raggiunge poi Torino il 24
giugno, quando in concomitanza con la battaglia di Custoza i garibaldini
occupano il Monte Suello e il posto di dogana presso Ponte Caffaro dove c'era
il confine. Civinini è quindi a Torino, dove aveva amicizie per la sua attività
giornalistica precedente e da dove scrive una lettera all'amico pistoiese
Celestino Antonini. Giunge sul lago di Garda e ritorna a far parte dello Stato
maggiore solo il 25 giugno, quando scrive una lettera alla moglie Antonietta
Klein (quindi con giorni di ritardo dall'insediamento del Quartier generale
garibaldino), poi da Lonato del Garda, scrive soprattutto a Celestino Antonini,
a Elio Babbini, che era suo collaboratore ne «Il diritto», a Milziade
Battaglini, che lui ritrova lì, poi ad Adriano Lemmi.
Intanto il 14 luglio Garibaldi
insedia il Quartier generale avanzato a Storo. E' difficile l'avanzata
garibaldina, il fronte è secondario ed avanza dal basso (chi sa un poco di cose
militari che nelle vicende belliche montane chi parte di sotto parte
svantaggiato); quelli schierati nella parte superiore del fronte erano
soprattutto tirolesi che conoscevano bene il territorio e avevano armi
migliori. Quindi anche se erano in numero superiore all’avversario non erano certi
i 38mila previsti (i garibaldini impiegati effettivamente sul terreno molti
meno), partivano svantaggiati. Il Quartier generale a Storo era nella parte del
Tirolo trentino, dove nell'ospedale di Storo, morirà il garibaldino Spinelli di
Larciano.
Civinini segue, dal momento che
arriva lì, tutto quello che fa Garibaldi divenendone praticamente quasi una
guardia del corpo.
Civinini che in precedenza aveva
scritto alla sorella, dicendo – siccome sembrava che suo cognato volesse partecipare alla guerra-
di farlo restare a casa, scrive alla madre da Storo: “Sapeste che ieri l'altro
abbiamo avuto un combattimento piuttosto serio – si riferisce al combattimento
di Condino del 16 luglio - . Spero proprio che questa maledetta guerra finisca,
perché io non ho più venti anni, tra l'altro. Ieri ho trovato Milziade
Battaglini e abbiamo fatto colazione insieme” (4) (il
Battaglini era rimasto ferito). Poi arriviamo al 21 luglio, alla battaglia di
Bezzecca, e il 31 luglio viene proclamata la tregua d'armi; Civinini rimane poi
in attesa del congedo a Brescia e il 17 settembre c'è la pace tra Italia e
Austria. A Brescia rimane fino all'11 settembre, poi scrive alla madre, il 15
settembre da Firenze. Scrive molto però alla Klein, la moglie francese
alsaziana (ci vorrebbe molto tempo per leggere quelle lettere, perché sono tante
e sono scritte in francese né Civinini né sua moglie hanno una bella grafia).
Questa è l'impressione mia sul
deputato Civinini rispetto a quello che
ho potuto trovare sul suo impegno bellico di questo 1866: dimostrare anche con
accenti eroici – il coraggio non gli mancava – che pur senza intima convinzione,
il suo dovere di militare garibaldino l'aveva comunque fatto, qualunque
avrebbero potuto esser le sue scelte politiche successive. Non a caso quando
verrà in visita Garibaldi l'anno dopo, nel 1867, a Pistoia, il deputato pistoiese
al parlamento di Firenze Capitale, Giuseppe Civinini
si noterà proprio per la sua
assenza nella sua città, quando sua sorella Giulia Civinini Arrighi era in
primo piano nei festeggiamenti cittadini al Generale..
L'accentuarsi dei dissidi nella
Sinistra, soprattutto il contrasto col vendicativo sempre potente Francesco Crispi, inducono infatti
Civinini a fare il salto a Destra, cambiando schieramento. Come ho già detto
secondo me già prima e durante la guerra del 1866 matura questo suo nuovo
atteggiamento e subito dopo la guerra appoggia il governo Ricasoli, nel quale
vede un baluardo contro la reazionaria Destra piemontese della Permanente,
apprezzando in particolare la politica del Barone volta ad introdurre il
decentramento amministrativo, considerato da Civinini uno dei principi
fondamentali del liberalismo. Anche la vecchia amicizia col Barone , dovuta
agli anni giovanili quando si era rifugiato in casa Ricasoli a Firenze presso
la moglie, spiega questa svolta politica maturata nella seconda metà del '66 e
clamorosamente evidenziatasi nel '67, quando Civinini si candida di nuovo a
Pistoia, ma questa volta con la Destra ricasoliana e viene rieletto al
Parlamento.
La vicenda politica di Giuseppe
Civinini praticamente si concluderà poi con il suo coinvolgimento nella clamorosa
faccenda della Regìa dei tabacchi; questo è proprio un giallo politico e
infatti Levi Sandri, colui che ha fatto più chiarezza sul ruolo di Civinini
scagionandolo, scrisse un libro negli anni '80 intitolato proprio Il giallo
della Regia (5). Questo
è un capitolo a sé, tra attentati ed intrighi nella Capitale sull’Arno che
tralascio di descrivere qui, però ci serve per descrivere e delineare il suo
comportamento in quei politicamente oscuri frangenti: in quel Parlamento dove
era stato eletto, Civinini nel 1868 approvò su proposta del ministro
Crambray-Digny la concessione della privativa per la fabbricazione dei tabacchi
a una regìa cointeressata, costituita da una società di capitalisti italiani ed
esteri. Il voto su questa concessione ci dà il quadro in quel momento di come
erano gli schieramenti. Votarono a favore la Destra governativa e la Sinistra
possibilista del Terzo partito di Mordini; si opposero il gruppo di Rattazzi,
la Permanente, cioè la Destra piemontese (Lanza e Sella), la Sinistra del
Crispi e la Sinistra radicale di Bertani. Quindi si evidenzia la frammentazione
che porterà poi a percorsi trasversali tra Destra e Sinistra. Mentre si faceva
oppressiva la pressione fiscale dello Stato sulle masse popolari, si
rafforzarono i legami fra entourage governativo e capitalismo bancario.
Civinini violentemente accusato sia
da Crispi che dal «Gazzettino rosa» di Milano di aver favorito il voto sulla
concessione per interessi personali nell'operazione è trascinato con altri nel
primo vero grosso scandalo politico dell'Italia post-unitaria. Vede,
nell'attacco alla sua persona per l'affare della regìa, la mano del Crispi che
avrebbe, secondo lui, orchestrato il tutto per rilanciare la Sinistra a lui
fedele e perché non gli avrebbe perdonato il duro attacco del 7 maggio 1866 e
le sue caustiche considerazioni sul ruolo del Crispi nel far approvare le leggi
eccezionali di pubblica sicurezza. Cioè Crispi ce l'ha con Civinini perché ha
abbandonato la Sinistra, però queste cose a ben vedere prima, più o meno, le
aveva fatte lo stesso Crispi. Tutti gli accusatori non riescono a produrre
prove e Civinini esce assolto dall'inchiesta parlamentare e vincitore nei
successivi strascichi giudiziari. Ma fra alcuni storici permane per lungo tempo
– a parte il successivo libro rivelatore di Levi Sandri (5) – il sospetto che
tramite un suo protetto, Salvatore Tringali (1834-1906), che compare
nell'epistolario di Civinini con un notevole numero di lettere (6), abbia ottenuto una
partecipazione nella regìa, anche se a convenzione approvata. Tuttavia è vero
che dopo la morte la famiglia non si trovò in condizioni economiche floride,
tanto che per pagare i funerali furono riscattati dei beni al Monte di Pietà.
Intanto, nel 1870 Napoleone III
cade a seguito della sconfitta nella guerra franco-prussiana, a Parigi si
instaura la Comune e il 20 settembre le truppe italiane occupano finalmente
Roma. Civinini, che era diventato direttore de «La Nazione» nel 1869 teorizza
ora, non senza contrasti interni al quotidiano, quella politica estera
filo-germanica, attuata anni dopo proprio dal Crispi. Significativo, ad esempio
un suo saggio apparso nella «Nuova Antologia» dove, tra l'altro, afferma: “A
mio credere, molte cose ci consigliano a fare del nuovo Impero germanico il
nostro più stretto amico. La prima è l'interesse comune che abbiamo di tenere,
per quanto più si può, bassa la Francia; la seconda la necessità che abbiamo di
avere amiche le potenze che sono, per tradizione e per interessi, antipapali, e
di assicurare ad esse la prevalenza in Europa; la terza di fondarci sopra una
solida base conservativa, la quale ci manca all'interno, ed all'esterno non
possiamo cercare senza pericolo altrove che nel nuovo Impero, il quale, per
legge della sua condizione, non può essere conservativo, senza essere anche
liberale. Le nostre diffidenze verso la Germania [...] ci esporranno veramente
a quei pericoli di cui tanto temiamo, e non impediranno ad ogni modo che il
destino dell'Europa si compia” (7)
Erano le ultime battute della sua
vicenda umana e politica. Era stato da circa un anno rieletto al Parlamento
quando il 19 dicembre 1871 morirà a soli 36 anni per un tumore, probabilmente
anche alimentato dallo stress e dai dispiaceri dell'affaire della Regìa
dei Tabacchi.
Carlo Onofrio Gori
* Relazione
scritta del mio intervento al suddetto Convegno del 14.11.2016, inviata 04.02.2017 a gentile richiesta delle
benemerite Associazioni storico-culturali organizzatrici, per stampa Atti,
Avevo già segnalato questo Convegno, l'ultimo al quale ho partecipato, su un
mio post di Goriblogstoria dell'ottobre scorso. Ringrazio gli Organizzatori del
Convegno per l'invito ed in particolare Giampaolo Perugi, Teresa Dolfi e
Simonetta Ferri, preziosa per le mie ricerche d'archivo alla Biblioteca
Forteguerriana relative al mio intervento al Convegno ed alla stesura di questo
articolo. Ringrazio Simonetta
Campedelli, in questo caso altrettanto preziosa, come dattilografa - al
Convegno avevo parlato "a braccio" sulla base di una
"scaletta" di apuntim per aver potuto inviare poi per e-,ail questa
relazione, visto che le mie le inaspettatamente aggravate condizioni di salute
du questi ultimi giorni , nell'ambito di una situazione di convalescenza
dall'intervento chirurgico subito il 04.08.2015 già di per sé precaria, (come
chiunque interessato ha potuto constatare verificando la mia scarsa e saltuaria
presenza sia su FB che su questi miei blog rispetto al periodo antecedente
l'agosto 2015 - non mi potevano
permettere di fare diversamente. Insomma una grazie a tutti coloro che in
questi anni, nel corso dei convegni ai quali ho partecipato, su i miei libri
e articoli di periodici, sui post di
questi blog e su FB mi hano seguito, letto e, sovente, apprezzato e un grazie
ovviamente anche alle eventuali - le invero poche volte che ci son state -
divergenze e critiche che quasi sempre son state, come si suol dire,
costruttive. Insomma un grazie di cure a
tutti per percorso d questi anni fatto insieme. COG
Note:
1. C.O. Gori, Profilo di un garibaldino pistoiese: Giuseppe Civinini, in ANVRG (Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini), sito web (nuke,garibaldini,com)
2. Mostra I busti ritrovati. Per
una galleria di uomini illustri a Pistoia. Pistoia, Villa di Scornio, 13
febbraio-10 marzo 2013
3. C.O. Gori, Il lungo viaggio
dei prigionieri toscani del 1848 da Curtatone e Montanara a
Theresinstadt-Terezín, nel blog Aspera, dell'Associazione culturale
Prometeo Pistoia e dei suoi amici, 25 maggio 2013.
4 Lettera di Giuseppe Civinini alla madre
Gioconda Marini, in BCF, Carte Civinini
5. Lionello R. Levi Sandri, Il
giallo della Regìa. Roma, A. Armando, 1983.
6. Le lettere di Salvatore Tringali
a Giuseppe Civinini sono datate dal 1865 al 1870, in BCF, Carte Civinini
7. G. Civinini, L'antico e il
nuovo Impero in Germania, «Nuova Antologia», 1871, vol. 17, pp. 54-55
Bibliografia essenziale
su Giuseppe Civinini
V. Capponi, Biografia pistoiese, Pistoia, Tip.
Rossetti, 1878.
V. Cecconi, Giuseppe Civinini di Pistoja. Patriota,
deputato giornalista, Pistoia, Brigata del Leoncino, dicembre 2000
A. Chiti, A proposito del primo deputato di Pistoia,
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