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domenica 23 dicembre 2012

C.O. Gori. Curiosità storiche. Toscana: un Calendario fino al 1749

Fino al 1749 un ... Calendario toscano 


Non tutti in sanno che nello Stato toscano fino al 20 novembre del 1749 fu in uso il “calendario fiorentino” (che convisse con simili calendari anche a Pisa e a Siena) nel quale l’anno si faceva iniziare non col 1° gennaio, ma il 25 marzo con la festa dell' Annunciazione a Maria. Esso venne definitivamente abolito per decreto dal Granduca Francesco III di Lorena, il quale ordinò che in tutto il territorio toscano il nuovo anno 1750 dovesse iniziare dal 1º gennaio.
Occorre notare che l'uso di un particolare calendario, oggi che la maggior parte dei Paesi del mondo se non per “credenza”, bensì per praticità adotta ufficialmente per convenzione il calendario gregoriano (calendario solare che prende il nome da papa Gregorio XIII, che lo introdusse nel 1582 a modifica del calendario giuliano), non fu prerogativa di Firenze, ma rientra in quel più vasto fenomeno secondo il quale i paesi europei, nel corso del Medio Evo e fin nell'Età Moderna regolarono il computo del tempo secondo tradizioni locali e variabili. L’ Era Cristiana - come punto d’inizio per la numerazione degli anni, concepita nel VI secolo dal monaco Dionigi il Piccolo che identificò l'anno di nascita di Gesù Cristo nel 754 di Roma - non fu accettata subito né ovunque e fra l'altro, conteneva un errore di calcolo, che non venne rilevato se non più tardi. Carlo Magno la fece adottare nei suoi domini, nel secolo IX; nei territori germanico venne adottata  nel secolo X, in quelli spagnoli nel 1100, in Portogallo e in Austria ancora più tardi. Medesime divergenze si ebbero circa il giorno iniziale di ogni nuovo anno. A Venezia venne scelto il 1° marzo; alcune città lombarde, fra cui Pavia, adottarono il 16 marzo, data seguita per qualche tempo anche dal Capodanno inglese; Firenze, come si è detto, scelse il 25 marzo.
Nel Regno di Francia il Capodanno coincise a lungo con la Pasqua; altre parti d'Italia e gli Stati della Germania scelsero invece il 15 dicembre. Tanta varietà di “capodanni” è intuibile rammentando da una parte l'isolamento e la carenza di comunicazioni peculiari dell'età medioevale; dall'altra, il carattere puramente convenzionale e in fondo arbitrario e che è il dato comune alle diverse date adottate come “punti di partenza”.
Oggi con il prevalere soprattutto in campo economico della prospettiva eurocentrica il calendario più diffuso in parziale alternativa al calendario Gregoriano, è il calendario islamico (un calendario lunare, in uso in alcuni paesi islamici), mentre è ancora praticato il calendario Ebraico (lunisolare). Affiancati al Gregoriano inoltre sono ancora parzialmente in uso il calendario tradizionale cinese (la Repubblica Popolare ufficialmente per praticità spesso si adegua al gregoriano) e quello Giuliano, oggi in uso solo per motivi religiosi o liturgici nelle Chiese cristiano-ortodosse: 13 giorni di differenza  tra le festività religiose "fisse" ortodosse e quelle delle altre confessioni cristiane.
A seconda del calendario può variare sia l'anno da cui si cominciano a contare gli anni (per il Gregoriano è la nascita di Gesù, per i Musulmani il nostro 622 d.C., per gli Ebrei il nostro 3760 a.C.) che il giorno di inizio dell'anno (per noi il 1 Gennaio, per i cinesi nel segno dell'Acquario).
Un calendario di “rottura”, creato in contrapposizione alla tradizione cristiana, fu il “Calendrier Révolutionnaire Français” (o Calendrier Républicain Français), elaborato da una apposita commissione scientifica. Infatti la Rivoluzione francese, dopo aver creato il 1º agosto 1793 il Sistema metrico decimale ritenne necessario, sulla base dei valori di natura e libertà umana,  intervenire anche sul calendario. Approvato a Parigi dalla Convenzione Nazionale il 24 novembre del 1793, il “Calendrier” rimase in vigore fino al 31 dicembre 1805 e poi tornò in vigore a Parigi durante la rivoluzionaria Comune del 1871. In esso l'anno era composto da 12 mesi di 30 giorni ciascuno, che a loro volta erano suddivisi in tre periodi di 10 giorni. Il Capodanno era invece stabilito al 23 settembre con l'equinozio d'autunno. Ad ogni anno venivano aggiunti 5 giorni in più, 6 per l'anno bisestile, per mantenerlo sincronizzato con l'anno tropico. I nomi dei mesi erano, a partire dal primo dell'anno il 23 settembre: Vendemmiaio, Brumaio, Frimaio, Nevoso, Piovoso, Ventoso, Germile, Fiorile, Pratile, Messidoro, Termidoro e Fruttidoro.
Per rimanere in ambito “rivoluzionario” in Russia fino alla rivoluzione sovietica del 1917 fu adottato il calendario giuliano l'Unione Sovietica nel 1918 adottò il calendario gregoriano, r quindi l’anniversario della rivoluzione d’Ottobre (il nome rimase) venne successivamente festeggiato il 7 novembre (secondo il nuovo calendario gregoriano) e non il 25 ottobre (secondo il calendario zarista giuliano). Nel 1923 entrò ufficialmente  in vigore un Calendario rivoluzionario sovietico  poiché fu modificato il calcolo per decidere quali anni centenari fossero bisestili. In esso, tra gli anni divisibili per 100 erano bisestili solo quelli che divisi per 9 davano come resto 2 o 6. Il primo anno di discordanza con il calendario gregoriano sarebbe stato il 2800. Dal 1940 il Calendario rivoluzionario sovietico fu abbandonato e l’Urss tornò al calendario gregoriano.
Tornando ad oggi, come s’è anche detto sopra, convivono, sovente non in completa sostituzione, ma “accanto” al calendario gregoriano, quello musulmano, quello ebraico, il calendario nazionale indiano (chiamato anche calendario Saka) ed altri, e in tal senso possono variare sia l'anno da cui si cominciano a contare gli anni (ad es. se per il Gregoriano è la nascita di Gesù, per i Musulmani è il nostro 622 d.C., per gli Ebrei è il nostro 3760 a.C.) che il giorno di inizio dell'anno (per noi il 1 Gennaio, per i cinesi nel segno dell'Acquario).
Il vecchio calendario fiorentino granducale durò più a lungo degli altri probabilmente perché la scelta su cui si basava era in fondo la più ragionevole. Infatti, se si computano gli anni a partire da quello in cui nacque Gesù, il 25 marzo, ossia la data in cui l'Incarnazione (ricorrenza dell’Annuncio  alla Vergine Maria appare la più logica da scegliersi come Capodanno. Essa coincide inoltre con l'inizio della primavera e, con uno scarto di pochi giorni, con l'entrata del sole nella Costellazione d'Ariete e gli antichi proprio dall'Ariete incominciavano il computo dei segni zodiacali.
L'epoca precisa in cui fu adottato il calendario fiorentino non è accertata; esso in ogni modo ebbe radici molto antiche e occorre storicamente notare che nel medioevo, e anche dopo, a Pisa ed in alcune parti della Toscana era stato in vigore anche il cosiddetto “calendario pisano”, o “stile dell'Incarnazione al modo pisano” per il quale l'anno iniziava, come a Firenze, il 25 marzo con la festa liturgica dell'Annunciazione della Vergine Maria, ma rispetto allo "stile dell'Incarnazione al modo fiorentino", utilizzato appunto, sicuramente dal periodo medievale, oltre a Firenze anche in altre città dell'Italia (ad es.  Piacenza), il calendario pisano, in base a particolari calcoli, finiva per differire di un anno esatto per cui mentre a  Firenze un  documento datava, ad esempio, 21 ottobre 1400, nello stesso giorno a Pisa esso veniva datato 21 ottobre 1401.
Ovvio che in sede storiografica, per quanto concerne i personaggi nati o morti a Firenze e in Toscana prima del 1750, o cronache di fatti, l'uso di questi calendari ha dato spesso luogo a una curiosa (e diciamolo, anche fastidiosa) duplicità (o triplicità) di date.
                                                               
                                                             


                            Carlo Onofrio Gori
                                









E' possibile la riproduzione parziale e/o integrale di questo articolo previo consenso dell'autore o comunque citando lo stesso Carlo O. Gori

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mercoledì 5 dicembre 2012

C.O. Gori. Seicento. Storia della Musica. Giovan Battista Lulli, un fiorentino in Francia


Vita di un emigrato fiorentino nella Francia del Seicento: il famoso Giovan Battista Lulli

Fra gli emigrati toscani che in Francia ottennero grande popolarità nel campo dello spettacolo ancora oggi molti ricordano il grande attore e chansonnier monsummanese Ivo Livi, in arte Yves Montand (al tempo stesso uomo politicamente "impegnato", di grande onestà intellettuale, capace di "revisioni" importanti e "sofferte"), ma solo chi ha qualche dimestichezza con la storia della musica sa che alcuni secoli prima, nel Seicento, un fiorentino, Giovanni Battista Lulli, ottenne alla Corte di Luigi XIV, il Re Sole, non solo enorme popolarità, ma anche immenso prestigio e potere, divenendo il famosissimo Jean-Baptiste de Lully, da molti considerato come l'inventore dell'Opera francese. Fu valente musicista (chitarra, violino, clavicembalo), direttore d’orchestra, commediante e commediografo, scenografo, ballerino, compositore, paroliere, cantante.
Le sue origini familiari sono rimaste a lungo nel mistero anche perché Lulli, ormai naturalizzato francese, divenne talmente potente e spavaldo da rifiutare nel 1661 un titolo nobiliare offertogli dal re affermando di essere già nobile a sufficienza poiché suo padre era il cavaliere Lorenzo de' Lulli, patrizio fiorentino. Il musicista, memore della  nobiltà, questa volta indubbia, di altre due fiorentine che lo avevano preceduto a Corte, le regine Caterina e Maria de’ Medici,  non voleva certo sfigurare di fronte al suo sovrano.
Sulla scorta degli atti ritrovati da Henry Prunières, suo biografo, in realtà sappiamo che egli, nato il 28 novembre 1632 nel territorio della parrocchia di Santa Lucia del Prato e battezzato lo stesso giorno nel Battistero di Piazza del Duomo, era figlio di un modesto mugnaio, Lorenzo di Maldo Lulli e di Caterina del Sera, ella stessa figlia di un mugnaio, Gabriello del Sera, nella cui casa di via Borgo Ognissanti Giovan Battista trascorrerà gran parte dell’infanzia. Non sappiamo, tra l’altro, se Lorenzo Lulli era proprietario o garzone del mulino dove svolgeva la sua opera, individuato, con qualche incertezza, nei pressi dell’attuale Lungarno Amerigo Vespucci, dove venne poi apposta una targa. Sapere questo ci direbbe di più sull’infanzia di Giovan Battista, che alcuni descrivono come grama e fortunosa, mentre altri la inquadrano in più tranquilli canoni piccolo borghesi.
Si sa invece per certo che il suo primo maestro fu un frate francescano che gli regalò una chitarra e che tutti i contemporanei  descrissero il giovane Lulli come bruno, brutto e piccolo, ma capace di farsi notare per la sua mimica accattivante e la musica suadente.
Venne condotto a Parigi, probabilmente nel 1646, da Roger di Lorena, cugino del re e Cavaliere di Guisa, su incarico di sua cugina, la duchessa di Montpensier che desiderava avere al suo seguito un giovane musico che sapesse divertirla e dal quale imparare l'italiano. Allora la Montpensiers, ovvero Anne‑MarieLuise d'Orléans, non aveva ancora vent’anni, amava la musica e veniva considerata la donna più ricca di Francia. Nota a corte come la “Grande Mademoiselle” era anch’essa cugina di Luigi XIV, giovanissimo ed ancora sotto la tutela della madre, la reggente Anna d'Austria coadiuvata dall’italiano Cardinale Mazzarino, effettivo conduttore degli affari politici francesi. Giovan Battista seguì tutti gli spostamenti della sua padrona nella vita di Corte e poté anche assistere, con particolare interesse, ai quotidiani concerti dei ventiquattro musicisti, i “violons du roi”, che dall'alba al tramonto accompagnavano la spensierata giornata del sovrano.
Promosso infine cameriere personale della duchessa, Lulli avrà poi la possibilità raffinarsi nella musica con lo studio del violoncello, delclavicembalo e della composizione sotto la guida dei celebri Métru,Gigault e Roberday. Qualche tempo dopo Giovan Battista,  sapendo che della sua bravura già si parlava nell’entourage del sovrano, fu abile a sfruttare le ripercussioni di gravi eventi politici che sconvolsero la Francia e nei quali finì coinvolta anche la sua padrona.
Infatti in quel periodo alla Fronda Parlamentare, che vide il popolo ed il Parlamento rivoltarsi contro la politica fiscale del Mazarino e che fu domata dal principe di Condé, seguì la Fronda dei Principi caratterizzata dalla ribellione dei nobili contro i tentativi del Cardinale volti alla limitazione dei loro privilegi. L’astuto Mazarino, pur dall'esilio, seppe poi sventare anche quest’ultima e ben più pericolosa cospirazione ed i nobili implicati, fra i quali  anche la Montpensier, furono condannati a ritirarsi nelle loro proprietà di campagna. Lulli riuscì allora a trovare il modo di farsi congedare dalla duchessa ed a tornare a Parigi, proprio mentre il re stava cercando un ballerino per uno spettacolo, il Ballet de la nuit,rievocazione di ciò che accadeva in città dal tramonto all'alba e nel quale il sovrano stesso doveva impersonare il Sole.
Un giorno Lulli, mentre assisteva al Louvre ad una prova del maestro di ballo Délorge, fu presentato al quattordicenne re il quale, dopo averlo lungamente osservato,  esclamò ad alta voce: «J’espère que Vous ne regrettez pas d'avoir quitté pour notre service celui de notre belle cousine». Così il fiorentino, forte della regale protezione, venne subito scritturato per il Ballet de la nuit  ed affidato al regista Clément. Già alla prima prova l’intraprendente Lulli, preso un violino dalle mani di un suonatore, dettò tempi più vivaci e ritmi più accelerati così che tutte le battute delle apparizioni risultassero più briose, meno convenzionali e ben più interessanti di quelle ideate dal Clément. Lo spettacolo fu poi rappresentato il 23 febbraio 1653 nelle sale del petit Bourbon con un successo personale immenso dell’ “attore” Luigi XIV, e dal quel momento fra il sovrano, divenuto ormai il Re Sole, e  Giovan Battista si stabilì un legame di riconoscenza ed affetto che durerà per tutta la vita del fiorentino.
Entrato ufficialmente a Corte come compositore di musica strumentale Lulli firma con il Ballet des proverbes e il Ballet du temps le sue prime produzioni nelle quali i ballerini, rispetto a canoni fino ad allora prevalenti, acquistano fantasia, grazia, leggerezza e spirito irridente.
Dal 1664 al 1671, Lulli dà vita a un sodalizio col grande Molière inventando la Comédie-Ballet, cioè ad una commedia intercalata da varidivertissements che, per la mentalità dell’epoca, costituivano la parte più accattivante dello spettacolo. Battista inserisce i suoi balletti ne Le mariage forcé, L'amour médécin, Le bourgeois gentilhomm  e  in Monsieur de Pourcegnac.
Nasce fra i due un'intesa profonda:  Molière definirà Lulli  incomparable e il suo affetto si spingerà al punto da prestare al fiorentino i soldi per una splendida casa. Tale sodalizio tuttavia finirà nel 1672 con una clamorosa rottura per un fatto che porterà Lulli ad un decisivo salto di qualità nella carriera e nella produzione artistica. Infatti dopo il 1669, per iniziativa del librettista Perrin e del musicista Cambert, che per questo avevano ottenuto un “privilegio” del re, si erano infittiti con sempre maggiori successi i tentativi di forgiare un'opera francese, capace di armonizzare alla lingua transalpina il recitativo usato dagli italiani. Ma nel 1671 alcuni episodi di cattiva gestione patrimoniale portarono Perrin in prigione per debiti ed allora lo scaltro Lulli si recò alla Conciergerie a visitarlo ed ottenne da lui la cessione del privilegio in cambio del pagamento dei suoi debiti. Nel marzo 1672 Luigi XIV addirittura inibì a chiunque non fosse il fiorentino di “far cantare qualunque pezzo musicale intero sia in versi francesi che in altra lingua, senza il suo permesso, pena un'ammenda di 10.000 lire”.
Da questo momento, Lulli diventa di diritto e di fatto padrone assoluto della scena lirica francese e lo rimarrà vita natural durante. Il popolo conosce bene le sue melodie facili e lievi mentre la Corte accorre numerosa alla “prima” di  ogni sua opera.  Abita in un sontuoso palazzo,  il sovrano e la regina sono stati suoi testimoni di nozze e hanno tenuto a battesimo i suoi figli,  è sovrintendente del teatro di Corte e fa parte della segreteria di Luigi XIV che, tra l’altro, più di una volta dovrà intervenire personalmente per colmare i non indifferenti debiti di gioco dell’amico Jean-Baptiste.
L'incontro con il librettista Quinault darà inizio al terzo periodo musicale di Lulli, quello della tragedia che lo vedrà produrre dieci opere liriche di soggetto mitologico (Armida, Alceste, ecc,)  nelle quali, cantando l’amore, eccederà forse in lacrime e sospiri, ma dal lato della tecnica musicale il suo stile risulterà innovativo esaltando l'importanza del coro, l'accompagnamento a piena orchestra - invece che con il solo clavicembalo - e l'impiego del quartetto d'archi e degli strumenti a fiato.
Ma proprio nel pieno del successo, a causa di un avvenimento all’apparenza banale e ridicolo, la fortuna volterà le spalle al fiorentino: l’ 8 gennaio 1687, mentre nella chiesa dei Foglianti dirigeva un grande Te Deum per la guarigione del sovrano, Lulli si ferì un piede con un furibondo colpo del bastone con il quale batteva il tempo all’orchestra producendosi un ascesso che, trascurato, degenerò poi in cancrena. Luigi XIV e  i membri della casa reale vanno allora più volte a visitare l'illustre infermo, ma dopo due mesi e mezzo non c’è più niente da fare ed ormai Giovan Battista non può far altro che dettare le sue ultime volontà che stabiliscono vari lasciti a favore di ordini religiosi e di poveri.
Era il 22 marzo 1687  e Lulli aveva 55 anni: dopo che nella cattedrale venne solennemente eseguito il suo Requiem, fu sepolto nella Chiesa dei Petits-Pères. Mentre i parigini lo ricorderanno cantando: “Baptiste est mort ‑ adieu la simphonie ‑ la musique est finie ‑ déplo­rons son sort”, per lungo tempo le gazzette  di tutta Europa ne tesseranno infinite lodi.
                                                                                                      
                                   

                  

                  Carlo Onofrio Gori






Sintesi e rielaborazione dell’articolo di Carlo O. Gori, Giovan Battista Lulli, una stella alla corte del Re Sole, in “Microstoria”, n. 50 (nov.-dic. 2006). 




sabato 1 dicembre 2012

Carlo O. Gori. Settecento. Storia di Vincenzo Lunardi, lucchese, aeronauta in Inghilterra


Volando 
alto 
“conquistò” l’Inghilterra 
e l’Europa

Dal 1854 ogni 8 settembre a San Marcello Pistoiese viene lanciata una mongolfiera, detta il pallone di Santa Celestina, momento più importante della festa della Santa Patrona. Ciò che rende particolarmente significativo l’evento è comunque il legame che il pallone sanmarcellino ha con i fratelli Montgolfier che com’è noto, riuscirono il 19 settembre 1783 a far volare in Francia per circa tre chilometri un pallone spinto da aria calda al quale era legato anche un canestro contenente una pecora, un gallo e un’anatra. Infatti i due fratelli, ospiti della famiglia Cini con la quale erano in rapporto di amicizia e di affari, lasciarono a San Marcello l'impronta della loro invenzione, tanto che vari anni dopo, nel 1854, un grande pallone costruito proprio nella Cartiera Cini, probabilmente in base agli schizzi lasciati a suo tempo dai fratelli Montgolfier, si innalzò nel cielo della Montagna pistoiese.
Tuttavia, pur senza scomodare il genio di Leonardo da Vinci, l’apporto dell’ingegno toscano agli albori del volo non comincia né finisce con i rapporti fra i Cini ed i Montgolfier, come ci ha ricordato una spettacolare manifestazione aerostatica avvenuta nel settembre dello scorso anno con partenza dell’aeroporto di Tassignano nel Comune di Capannori. L'evento, svoltosi nell'ambito del suggestivo Festival delle Ville, è il trofeo "Memorial Vincenzo Lunardi" del quale, per il 15-16-17 settembre di quest’anno è prevista la seconda edizione. Ma chi era Vincenzo Lunardi? Come ricorda un cippo posto nel giardino dell’ospedale di Chelsea a Londra, egli, il 15 settembre del 1784, fu “il primo viaggiatore aereo che attraversando gli spazi volò per 2 ore e 15 minuti”.  Nato a Lucca  3 gennaio 1759, Lunardi, poco disposto a trascorrere il resto della vita negli angusti confini del piccolo stato toscano, fin da giovanissimo abbandonò la sua bella città iniziando a viaggiare per l’Europa tanto che nel 1782 lo troviamo a Londra, segretario del principe di Caramanico, Ambasciatore di Napoli.
Londra era allora la capitale di un immenso impero in formidabile ascesa, la città più importante del mondo, come spesso lo è stata poi anche in altri periodi, sovente disputando questa supremazia con Parigi:  rappresentava allora quello che, all’incirca dalla metà degli anni ’60, rappresenta oggi New York, la “Grande Mela.
Lunardi, in quel 1782, svolgeva il suo lavoro di mediocre routine diplomatica  nelle cinque modeste stanze dell'ambasciata napoletana al n. 56 di New Bond Street e non navigava certo dell'oro, dato che per arrotondare il suo magro stipendio era costretto a rivendere il saporito olio che la famiglia (due sorelle e il suo tutore, cavalier Compagni) periodicamente gli spediva da Lucca. Ventitreenne intelligente ed ambizioso leggeva molto, intuiva che nell'aria stavano maturando strabilianti novità e trascorreva lunghe ore al Museo degli Inventori sentendo sorgere dentro di sé un impaziente intreccio di sogni e di progetti. L'anno successivo non fu quindi sorpreso dalla performace aerostatica dei fratelli Montgolfier che, insieme all'amico Tiberio Cavallo, seguì attentamente sulle gazzette del tempo, come poi si eccitò per l’ascensione di  Pilature de Rozier e del Marchese d’Arlandes, che il  21 novembre 1783 per primi percorsero il cielo di Parigi, per quella dell’inglese Cavendish che nel dicembre del 1783, sempre a Parigi, si elevò utilizzando un pallone a gas e per i fratelli Charles, che usarono l'idrogeno  posto dell'aria calda. Urgeva che fosse effettuato il primo volo sul suolo britannico dopo che, anche in Italia, il 25 febbraio 1784, il marchese Paolo Andreani con i fratelli Carlo e Agostino Gerli avevano solcato quei cieli. Lunardi, forte delle sue cognizioni tecniche, sapeva di essere l’uomo giusto nel posto giusto, e che proprio quello era il momento per alzarsi su Londra ed  uscire definitivamente dalle ristrettezze economiche e dall'anonimato. Gli inizi di quel 1784 furono quindi per il lucchese occupati da una frenetica ricerca di fondi che, grazie al suo convincente entusiasmo finalmente gli vennero da amici e da piccoli artigiani. Progettò e costruì con l'aiuto di Cavallo e del chimico Fordyce un pallone in cui l'unica innovazione rispetto alle formule precedenti fu probabilmente l'invenzione e l'utilizzo di un dispositivo atto a far entrare più rapidamente l'idrogeno nel tubo di rifornimento. Verniciato in rosso, blu e oro, misurava 16 metri di circonferenza, 45 corde scendevano dall'alto fissandolo ad una navicella dotata di 4 grandi remi aerei che secondo le credenze del tempo sarebbero necessariamente serviti per la navigazione orizzontale e per quella verticale. Lì dentro si sarebbe stretto Vincenzo, con una riserva di acido vetriolico in barili, dei sacchi di zavorra, alcuni strumenti per la navigazione, i viveri, un piccione, un gatto e un cane, nonché il suo affezionato finanziatore ed amico Biggin che però, per motivi di spazio e di peso, dovrà poi rimanere a terra. Finalmente, dopo non poche perplessità, il Governatore Sir George Howard dava il permesso per il volo mentre, nell'attesa, il pallone di Lunardi veniva esposto al pubblico che poteva ammirarlo al costo di una ghinea. Ed ecco finalmente il 15 settembre 1784. Quel mercoledì il tempo era buono e Lunardi, salutato dal principe di Galles di fronte ad oltre 150.000 persone, prese il volo sventolando una grande bandiera britannica. Alcuni raccontano che lo storico decollo avvenisse dal campo di parata militare di Moorfields vicino a Moorgate, altri invece dai Chelsea Gardens, praticamente dalla parte opposta di Londra, ma probabilmente qualcuno confonde questa prima ascensione con gli altri numerosi voli che da quel giorno in poi Lunardi effettuò sui cieli britannici, tanto che oggi troviamo disseminate in Inghilterra e in Scozia  lapidi che ricordano decolli, passaggi ed atterraggi del lucchese.
Mentre il pallone saliva lentamente Lunardi, dimenando energicamente (ed inutilmente!) i suoi remi, preso da somma beatitudine, cantò a squarciagola, poi dopo mangiato un pollo arrosto ed aver bevuto una mezza bottiglia di buon vino, Vincenzo lanciò nel vuoto tre lettere: se qualcuno le avesse trovate, doveva farle recapitare agli indirizzi del principe di Caramanico, di Fordyce e dell’amico Biggin. Dopo alcune miglia, essendo scesa la temperatura, Vincenzo decise che era opportuno riabbassarsi e lentamente vide delinearsi le figure di alcuni villici che all’apparire del pallone scappavano verso le colline. Cercò col megafono di far capire loro che qualcuno doveva afferrare le corde che egli avrebbe lanciato e tre giovani, che spauriti si erano rifugiati in un bosco accanto, si fecero coraggio e le agguantarono. Vincenzo saltò a terra per baciarli e abbracciarli e da loro seppe che era giunto nei pressi di Standon nello Hertfordshire. Di lì a poco arrivarono anche altri paesani e, dopo aver liberato il cane e il gatto mezzi morti di freddo e di paura, si fecero allegri brindisi con la buona birra locale. Ma l’ebbrezza del volo e del successo spinse subito Lunardi a saltare nuovamente nella sua navicella e, nel desiderio di salire in fretta sempre più in alto, a buttar fuori tutto quello che era rimasto a bordo: zavorra, piatti, bicchieri ed anche un paio di stivali. Riuscì così a raggiungere i 3.500 metri di altezza e, dopo un breve volo, scese nei pressi della vicina Ware. Aveva complessivamente percorso una ventina di chilometri in due ore e un quarto. Finalmente anche i cieli dello stato più potente della terra erano stati solcati da un aerostato ed il ritorno dell’aeronauta a Londra fu trionfale: una folla enorme di cittadini, soldati, giornalisti, autorità, belle donne costrinse la sua carrozza a procedere a passo d'uomo, poi fu acclamato per tutta la notte. Giorgio III lo ricevette a Corte e, dopo avergli donato un  prezioso orologio d'oro, lo nominò capitano ad honorem del Corpo degli Artiglieri. Da allora il lucchese divenne senz’altro l’italiano che nel XVIII secoloriuscì ad ottenere maggior popolarità in Gran Bretagna facendo anche “tendenza”: medaglie, vassoi, piatti, ritratti, bandiere riprodussero il suo viso e le signore si ornarono di un incredibile copricapo, a forma di pallone, detto “alla Lunardi”. Considerato come il più grande esperto vivente di problemi aeronautici, l’affascinante Vincenzo divenne il “partito” più ambito per ogni fanciulla di buona famiglia, mentre i poeti ne cantavano sperticate lodi ed ad ogni sua ascensione, alcune con a bordo belle dame, seguivano pantagruelici ed interminabili banchetti. Lunardi, dopo aver inventato anche una speciale barchetta a remi sulla quale, vestito da sera, attraversò il Tamigi al cospetto di una folla acclamante, rientrò in Italia nel 1788, dopo cinque anni di assenza. Sbarcato a Genova venne festeggiato come vero eroe italiano ed a Lucca fu poi investito da un'ondata di indescrivibile entusiasmo. Diretto a Napoli, nel suo lentissimo viaggio fitto di festeggiamenti, passò per Roma dove venne praticamente costretto ad esibirsi. Le autorità pontificie fissarono la data ed il luogo per l'8 luglio 1788 nei pressi del Teatro Corea che si trovava nel Mausoleo di Augusto. Quel giorno l'aerostato non riuscì a gonfiarsi a sufficienza e Lunardi, per alleggerirlo, decise di sostituire una tavola della navicella, ma, all'improvviso, il pallone, a causa di un colpo di vento, partì trascinando con sé un involontario viaggiatore, l'ingegnere Carlo Lucangeli che nel frattempo si era aggrappato alle corde. Il pallone scese a nei pressi della Porta di San Pancrazio dove, dicono le cronache, l'ing. Lucangeli arrivò incolume. Dopo questo incidente Lunardi giunsefinalmente a Napoli dove il suo “datore di lavoro”, re Ferdinando IV,  lo accolse con ogni onore. Anche qui, il 13 settembre 1789, prendendo il volo da Largo di Palazzo, dovette necessariamente effettuare la prima ascensione aerostatica del Regno, poi ricordata ed esaltata con odi e sonetti. Ne compì poi altre a Caserta ed a Palermo, ma godendo degli incondizionati favori del Borbone poteva ormai permettersi di trascurare il volo per dedicare la maggior parte del suo tempo agli studi e alla vita galante. I suoi ozi napoletani non durarono però a lungo perché anche le Maestà Cattoliche lo reclamarono in Spagna volendo venisse effettuato il primo volo aerostatico in quel Paese. Ferdinando IV, seppur contrario a privarsi del lucchese, dovette infine piegarsi agli obblighi imposti dagli augusti familiari ed ordinò a Vincenzo di partire. Il 12 agosto 1792 a Madrid un’incredibile navicella fitta di archi, cariatidi di legno, colonne, paraventi, legata ad  un enorme e variopinto pallone si alzò a fatica davanti alla Corte stupita ed ad una enorme folla, raggiunse i 3.000 metri di altezza per poi cadere in un torrente a 25 chilometri dalla città, dove poi Lunardi fu ripescato. L’aeronauta lucchese ebbe appena il tempo di riaversi che 11 giorni dopo, il 24 agosto, dovette nuovamente esibirsi, questa volta a Lisbona in Portogallo.
Ma con l’ascensione lusitana praticamente si concluse il periodo d’oro di Vincenzo Lunardi: negli anni successivi il suo nome venne dimenticato da un’Europa sconvolta dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche. Lo ricordò solo uno scarno annuncio apparso anni dopo, il 31 luglio 1806, sul Gentleman’s Magazine di Londra: “E’ morto…nel convento di Barbadinos, vicino a Lisbona, Vincenzo Lunardi, celebre aeronauta”.  
Oggi invece, a duecento anni esatti dalla sua morte, come testimoniano anche le numerose pagine a lui dedicate su Internet, il suo ricordo è di nuovo ben vivo in Gran Bretagna e fra gli appassionati del volo di tutto il mondo.



                                  

                                 Carlo Onofrio Gori                                                                       









Rielaborazione dell'articolo di Carlo Onofrio Gori, Vincenzo Lunardi, il Montgolfier di casa nostra, in "Microstoria", n. 48 (lug.-ago. 2006)




Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore.

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carlo gori

venerdì 16 novembre 2012

Carlo O. Gori. Anarchismo. Leda Rafanelli: pistoiese, anarchica individualista, scrittrice, femminista, musulmana sufita, antifascista...


Leda Rafanelli, pistoiese, anarchica...e tanto altro...

Leda Rafanelli fu una delle figure più importanti del movimento anarchico italiano del primo ventennio del secolo. Scrittrice autodidatta, riuscì a conciliare in una originale sintesi di vita le sue idee politiche ed il suo femminismo con la convinta adesione alla fede musulmana sufita, tuttavia si è scritto di lei soprattutto come “amante” di Benito Mussolini, giovane direttore dell’ “Avanti!”. 
Nasce a Pistoia da genitori livornesi, il 4 luglio del 1880, ancora adolescente mostra già una  precoce vena poetica e una notevole sensibilità sociale tanto che Filippo Turati che farà pubblicare su un giornale del partito socialista una sua poesia, “Le gomene”. 
A fine secolo, per difficoltà economiche emigra con la famiglia ad Alessandria d’Egitto (الأسكندرية) dove opera una consistente comunità italiana. Qui Leda ventenne si avvicina ben presto agli ambienti anarchici della Baracca Rossa, frequentati anche da Giuseppe Ungaretti e da Enrico Pea, e collabora a “Il Domani” (Cairo, 1903). Giunge ad Alessandria predisposta anche a lasciarsi sedurre da antichi miti egizi, scriverà infatti: «Fin da bambina ho sempre detto, con ferma convinzione, che ero nata millenaria. Tutti i miei personali ricordi, i sogni, le aspirazioni, i desideri erano basati, sistemati, orientati verso l'antico Egitto, mia patria d'elezione» (Memorie di una chiromante, inedito). 
Nel contempo si innamora profondamente del mondo mediorientale, impara l’arabo ed aderisce all’islamismo sufita: «Nessuno, che non sia un bruto, può sfuggire alla malia del deserto, al fascino delle oasi …Chi ha vissuto qualche anno fra gli arabi ne sentirà l'influenza per sempre» (L'oasi).
L’Egitto è dunque l’ unico punto di partenza delle sue due grandi fedi, anarchismo ed islamismo. Come potranno convivere in lei  tendenze di pensiero così diverse? Forse la chiave di interpretazione, considerando la sua complessa personalità, va trovata più negli aggettivi  che nei sostantivi.
Il suo anarchismo era individualistico, quello della frangia più intellettuale del movimento anarchico che spesso si contrapponeva all’ala collettivistico-organizzativa.
Gli individualisti affermavano in sostanza che i soli cambiamenti strutturali non sarebbero bastati per far avanzare l'umanità, se non accompagnati da profondi mutamenti delle idee. Leda mutuerà dal pensiero anarchico-individualista, il tema della centralità dell’individuo contro i meccanismi alienanti e il falso umanesimo della società capitalistica, ma socialista libertaria,  prenderà sempre le distanze sia da certe forme di individualismo vicine al terrorismo e sia dalla possibile degenerazione borghese delle teorie di Max Stirner che: “mentre possono avere un gran valore come potenzialità intellettuale e originale di un individuo, adattate alle lotte sociali … verrebbero ad essere una nuova tirannia e una nuova imposizione esercitata dall'individuo forte, a danno dell'individuo debole». In quanto al suo islamismo Leda era sufita.
Il  Sufismo, conosciuto oggi nel mondo occidentale soprattutto per le suggestive immagini dei balli di una sua confraternita, i dervisci tourneurs della nota canzone di Franco Battiato, è corrente dell’islamismo sunnita,  mistica e tollerante, non priva di suggestioni esoteriche. Considerato che la Rafanelli interpreta la sua fede anche come alternativa al mondo occidentale industrializzato, disumanizzato e schiavo del denaro, il suo anarchismo e il suo islamismo possono anche sembrare  l’uno il completamento dell’altro.
Torniamo però ad Alessandria ai primi del secolo: Leda, sempre portata alla ricerca del simbolo e del mistero, vede uno scarabeo di terracotta esposto in mezzo ai libri nella vetrina di un negozio, desidera l’oggetto per la sua forza di suggestione ed è così che fa momentanea conoscenza del librario, l’anarchico Ugo Polli. Rientrati poi in Italia casualmente si incontrano di nuovo alla Camera del Lavoro di Firenze. Si innamorano, si sposano e ben presto fondano, con l’aiuto di Olimpio Ballerini, figlio della nota anarchica fiorentina Teresa Ballerini, la Casa Editrice Rafanelli-Polli. Leda, che già al suo rientro aveva pubblicato presso l’editore Nerbini novelle popolari a sfondo sociale o anticlericale quali ad es. La bastarda del principe (1904) o Le memorie di un prete (1906), appreso ora il mestiere di tipografo-compositore, può stampare, oltre che per il movimento,  anche propri saggi come Valide braccia (contro il sistema carcerario), Contro la scuola, ecc.  Qualche tempo dopo entra in contatto col ventenne tipografo anarchico aretino Giuseppe Monanni che a Firenze pubblica, fra il 1907 e il 1908, la rivista individualista d’idee e d’arte “Vir” sulla quale compare tra l’altro anche una poesia del pratese Sem Benelli, poi noto drammaturgo, dal significativo titolo Il rifiuto.  
Leda, ventisettenne, si innamora di Monanni, si separa dal marito (col quale rimarrà in buoni rapporti) e ben presto si trasferisce col nuovo compagno a Milano, su invito degli esponenti anarchici Ettore Molinari e Nella Giacomelli, per mandare avanti  la nota rivista “La Protesta umana”.  
La coppia Rafanelli-Monanni pubblica anche riviste in proprio come ad es. “Sciarpa nera”  e nel 1910 fonda la Libreria Editrice Sociale che diverrà la più importante impresa editoriale libertaria italiana. Il pittore Carlo Carrà, per breve tempo amante di Leda, ne disegnerà il logo dove si vede un volto demoniaco e sullo sfondo il motto “che solo amore e luce ha per confine”.  
Leda in questo periodo pubblica suoi vari romanzi e saggi  tra i quali Bozzetti socialiSeme nuovo, Verso la Siberia. Scene della rivoluzione russa  e, insieme a Monanni, da cui nel frattempo ha avuto un figlio, fonda le riviste “La Rivolta” (1910) e “La Libertà” (1913-14).  
Su quest’ultima firma, nel marzo 1913, un entusiastico resoconto di una commemorazione della Comune di Parigi tenuta da Benito Mussolini. Il direttore dell’”Avanti!” legge e, lusingato, risponde subito: fra i due nasce una profonda amicizia che durerà fino a quando Leda, pacifista convinta, si scontrerà duramente con Benito divenuto ormai interventista. Leda, al contrario di Mussolini, negherà sempre di esser stata sua amante.  
Scriveranno in molti su questa vicenda, ad esempio Arrigo Petacco inL'archivio segreto di Mussolini, sosterrà la tesi di quest’ultimo, altri invece saranno di diverso parere, ma lo stesso libro di Leda, Una donna e Mussolini, in fondo non farà che alimentare i dubbi. Quel che è certo è che il giovane socialista rivoluzionario, allora diviso fra la Balabanoff e la Sarfatti,  si sente intellettualmente stimolato dalla sofisticata Leda, mentre quest’ultima sembra a volte scoraggiare il suo spasimante:”Ti ho già detto siamo due mondi in contrasto …è come se tu fossi l’Europa ed io l’Affrica. L’Europa… la vuole per opprimerla sfruttarla, adattarla al suo modo di vivere …L’Affrica barbara vive la sua vita pura, istintiva”.  
Un appunto scritto da Leda sulla prima pagina di un proprio opuscolo,  Abbasso la guerra! (1915),  ritrovato successivamente fra le sue carte, ci rivela quale sarà la sua  successiva considerazione per Mussolini: «Opuscolo letto e approvato, in tutto, dal mio amico d'allora BM che divenne poi guerrista e poi fascista, capo del governo per 25 anni e poi ucciso dai gloriosi partigiani». 
A proposito della guerra, sebbene anche in campo anarchico si fossero verificate alcune defezioni, l'impegno pacifista di Leda fu costante, mentre nel dopoguerra svolse, tra l’altro, un'attenta analisi critica del mutamento avvenuto nel ruolo sociale e economico delle italiane: «Mentre il capo di casa, l'uomo giovane e forte ( ... ) si faceva ammazzare, la donna, emancipatissima, invadeva le officine, produceva per la guerra. Quale progresso!...». 
L’avvento del fascismo e la distruzione della Società Editrice Sociale nel 1923 sancisce il suo definitivo silenzio politico. 
Leda pubblica ancora qualche opera narrativa di atmosfera “orientale” (Incantamento, (192l), Donne e femmine, (1922); L'oasi, (1926).  
Successivamente  vive tra Milano e Genova e, costretta da ristrettezze economiche, fa la chiromante. Non smette però di scrivere e ricostruisce mediante memorie autobiografiche in forma di romanzo (Nada, La signora mia nonna, Le memorie di una chiromante) momenti sovente amari dell’ultima parte della sua vita, come la burrascosa fine della convivenza con Monanni e la morte del loro figlio Aini. 
Leda muore a Genova nel 1971. Alcuni suoi scritti saranno raccolti da Aurelio Chessa, che con il suo Archivio Famiglia Berneri, vera memoria storica dell’anarchismo, operò per vari anni a Pistoia e che per motivi di lavoro ebbi il privilegio di conoscere. 
L’Archivio, oggi intitolato “Berneri-Chessa”  e diretto a Reggio Emilia con diligente passione dalla figlia Fiamma Chessa, ha recentemente acquisito in deposito conservativo la raccolta di tutti i suoi documenti autobiografici e delle opere edite ed inedite che costituiscono attualmente il Fondo Leda Rafanelli.
                                                                                      
                                   Carlo Onofrio Gori





كارلو غوري

Originale dell’articolo:

Carlo Onofrio Gori, Un'anarchia innamorata dell'Islam. L'affascinante figura della pistoiese Leda Rafanelli, in “Microstoria”, n. 29 (mag./giu. 2003), ripubblicato in: 


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كان يدا Rafanelli، بستويا، فوضوي ... وأكثر من ذلك بكثير ... يدا Rafanelli واحدا من الشخصيات الأكثر أهمية في الحركة الأناركية الإيطالية في العقدين الأولين من هذا القرن. الكاتب، العصاميين، تمكن من الجمع بين التوليف الأصلي في حياته السياسية والتزامه الراسخ النسوية مع الصوفية مسلم، ولكن هو مكتوب في المقام الأول من حيث لها "عاشق" من بنيتو موسوليني، مدير الشباب "القادم ". انه ولد في ليفورنو بستويا الآباء، 4 يوليو 1880، في سن المراهقة يظهر بالفعل الوعي الاجتماعي الشعرية في وقت مبكر وكبير بحيث أن توراتي فيليبو سوف تنشر في صحيفة الحزب الاشتراكي واحدة من قصائده، "الحبال." في نهاية القرن، وذلك بسبب الصعوبات المالية هاجر مع عائلته إلى الإسكندرية (الأسكندرية) التي تعمل فيها مجموعة كبيرة الايطالية. هنا يدا 20 تقترب قريبا بيئات الفوضويين شاك الأحمر يرتادها Ungaretti جوزيبي البازلاء وانريكو، وتعمل على "غدا" (القاهرة، 1903). يصل في الإسكندرية أيضا جاهزة للاغراء من قبل الأساطير المصرية القديمة، في الواقع، كتب: "عندما كنت طفلا وأنا أقول دائما، مع الاقتناع، أن ولدت ألف سنة. جميع استندت ذكرياتي الشخصية، والأحلام والطموحات والرغبات، ترتيب، مصر القديمة المنحى، بلدي المفضل "(مذكرات عراف، غير منشور). في الوقت نفسه يقع في حب عميق في العالم في منطقة الشرق الأوسط والعربية تعلم وتلتزم الإسلام الصوفي: "لا، هذا ليس الغاشمة، لا يمكن الهروب من سحر الصحراء، واحة من السحر ... كل من عاش بضع سنوات بين العرب من يشعر تأثير الأبد "(واحة). مصر وبالتالي نقطة" واحدة من رحيل الديانتين الكبير والإسلام والفوضوية. كيف كنت تعيش في اتجاهات مختلفة مثل الفكر؟ ولعل المفتاح لتفسير، معتبرا شخصيته المعقدة، التي يمكن العثور عليها في أكثر الصفات في sostantivi.Il الفوضوية كان له الاستقلالية الفردية، وأكثر من هامش الفكرية للحركة الأناركية التي غالبا ما يتناقض الجناح جمعي-organizzativa.Gli الفردية المنصوص عليها في مادة التغييرات الهيكلية فقط لن يكون كافيا لدفع الإنسانية، إن لم يكن مصحوبا بتغيرات عميقة في الأفكار. يدا mutuerà الفكر الفردي، فوضوية، موضوع مركزية الفرد ضد آليات تنفير والإنسانية الكاذبة للمجتمع الرأسمالي، ولكن الاشتراكية التحررية، ودائما تأخذ من كل من أشكال معينة من النزعة الفردية على مقربة من كل من الإرهاب وانحطاط ممكن من البرجوازية نظريات ماكس شتيرنر أن "لأنها قد يكون لها قيمة كبيرة المحتملة والفكرية والأصلية للفرد، سيتم تكييفها مع النضالات الاجتماعية ... ليكون الاستبداد الجديد وإعادة فرض-تمارسها قوي الفردية، وذلك على حساب الضعفاء الفردية ". كما أن له يدا sufita.Il كان الإسلام الصوفية، التي تعرف الآن في العالم الغربي وخاصة الصور مذكر من الرقصات من الأخوة له، والدراويش Tourneurs الأغنية الشهيرة التي كتبها Battiato فرانكو، هو الإسلام السني الحالي، باطني ومتسامح لا يخلو من سحر باطني. بالنظر إلى أن Rafanelli يفسر إيمانه حتى كبديل للعبد العالم الغربي الصناعية وإنسانيتهم ​​إلى المال، والفوضوية له في الإسلام يمكن أن ننظر أيضا مثل واحد لإكمال الآخر ولكن دعونا نعود إلى الإسكندرية في القرن الأول: يدا، التي لديها دائما البحث عن الرمز والغموض، ويرى الطين خنفساء يتعرض في خضم الكتب في نافذة متجر، يرغب الكائن بسبب قوتها من الاقتراح وهذا أن كيف هو معرفة لحظة من الكتاب، و ' الأناركية الدجاج أوغو. ثم عاد إلى إيطاليا تلبية عشوائيا مرة أخرى في العمل في فلورنسا. يقعون في الحب، والزواج، والتي تأسست في وقت قريب، وذلك بمساعدة من الراقصين الأولمبية، نجل الراقصين الفوضوي الشهير تيريزا فلورنسا، الناشر Rafanelli-الدجاج. يدا، الذي كان قد نشر بالفعل لدى عودته من حكايات القوم الناشر Nerbini مع اجتماعية أو المعادية لرجال الدين على هذا النحو. ولي النذل (1904) أو مذكرات كاهن (1906)، علم الآن تجارة الطابعة والملحن، فإنه يمكن طباعتها، فضلا عن الحركة، وكذلك مقالاته الأسلحة صالحة (ضد نظام السجون)، ضد المدرسة، وما إلى ذلك. بعض الوقت بعد ذلك يأتي في اتصال مع الأناركية العشرينات أرزو الطابعة Monanni جوزيبي العامة وفلورنسا بين عامي 1907 و 1908، والأفكار الفردية ومجلة الفن "فير" يظهر، من بين أمور أخرى، قصيدة براتو SEM بينيلى، الكاتب المسرحي المعروف آنذاك، بعنوان كبير والرفض. يدا، سبعة وعشرون، يقع في حب Monanni، انفصلت عن زوجها (الذين لا تزال على علاقة جيدة) وسرعان ما انتقل مع شريك جديد في ميلانو، بناء على دعوة من القادة في الأناركية إيتور موليناري وجياكومللي، للمضي قدما في مجلة معروفة " احتجاجا الإنسان. " الزوجين Rafanelli-Monanni كما تنشر مجلات مثل على سبيل المثال. "وشاح أسود" في عام 1910 وأسس دار النشر الاجتماعي، والتي سوف تصبح أهم شركة النشر الإيطالية التحررية. وكارلو كارا الرسام، لمحبي وقت قصير من يدا، فإنه سيتم رسم الشعار حيث ترى وجها الشيطانية في الخلفية وشعار "الحب والضوء فقط أن الحدود." ضارة للجمهور خلال هذه الفترة رواياته المختلفة والمقالات بما في ذلك ملامح الاجتماعية، بذور مرة أخرى، نحو سيبيريا. أسس مسرح الثورة الروسية و، جنبا إلى جنب مع Monanni، والتي في الوقت نفسه كان ابنا، ومجلة "انتفاضة" (1910) و "الحرية" (1913-1914). عقد دليل متحمسة لذكرى كومونة باريس هذا الأخير كان توقيعه في مارس 1913، من قبل بينيتو موسوليني. مدير "القادم!" القانون و، بالاطراء، ويستجيب بسرعة ينمو بينهما صداقة عميقة والتي تستمر حتى يدا، اقتناعا السلمي، سيقاتل بشدة مع بينيتو أصبح الآن التدخل. يدا، على عكس موسوليني، ونفى أي وقت مضى بعد أن كان عشيقته. كتابة العديد من هذه المسألة، على سبيل المثال أريجو Petacco inL'archivio سر موسوليني، ودعم فرضية من هذه الأخيرة، في حين أن آخرين سوف يكون من له رأي آخر، ولكن من نفس الكتاب يدا وامرأة وموسوليني، في أسفل سوف فقط الغذاء الشكوك. ما هو مؤكد هو أن الشباب الثوري الاشتراكي، ثم قسمت بين Balabanoff وSarfatti، يشعر حفز فكريا لك من قبل يدا متطورة، في حين يبدو في بعض الأحيان إلى عدم تشجيع حبيبها: "لقد قلت مسبقا نحن عالمين في الصراع هو ... كما لو كنت أوروبا وأفريقيا I. أوروبا ... يريد لقمع استغلال، والتكيف مع طريقته في الحياة ... وأفريقيا يعيش حياته الوحشية نقية، غريزية ". مذكرة مكتوبة من قبل يدا على الصفحة الأولى من الكتيب الخاص بها، لتسقط الحرب! (1915)، وجدت في وقت لاحق بين أوراقه، ويكشف ما سيكون نظره المقبل لموسوليني: "كتيب قراءة والموافقة عليها، في كل شيء، من صديقي الذي أصبح guerrista ثم BM ومن ثم رئيس الحكومة الفاشية 25 عاما وقتل بعد ذلك بواسطة أنصار المجيدة ". عن الحرب، على الرغم من المخيم الفوضوي كان بعض الانشقاقات، وكان الالتزام السلميه من يدا ثابتة، في حين عقدت الحرب، من بين أمور أخرى، تحليلا دقيقا لتغيير حاسم وقعت في الدور الاجتماعي والاقتصادي للالإيطالية "وبما أن رئيس مجلس النواب، غزت شاب وقوي (...) وقد قتل، والمرأة، emancipatissima، وحلقات العمل، وأنتجت للحرب. ما هو التقدم! ... ". ظهور الفاشية وتدمير شركة النشر الاجتماعي في عام 1923 يؤكد صمته السياسية النهائية. يدا لا تزال تنشر بعض جو العمل السردي "شرقية" (سحر، (192l)، المرأة والفتيات (1922)، والواحة، (1926). حياة وفي وقت لاحق بين ميلان وجنوى، واجبروا من قبل المصاعب الاقتصادية، هو عراف ولكن، لا تتوقف على الكتابة واعادة بناء من خلال ذكريات السيرة الذاتية في شكل رواية (ندى، والسيدة جدتي ذكريات عراف) في كثير من الأحيان لحظات مريرة من الجزء الأخير من حياته، ونهاية عاصفة من العيش مع Monanni و توفي وفاة ابنهما يدا. العيني في جنوة في عام 1971. يتم جمع بعض كتاباته من قبل Chessa أوريليو، منظمة الصحة العالمية، مع عائلته Berneri الأرشيف، ذاكرة التاريخية الحقيقية للفوضوية، كان يعمل لعدة سنوات في بستويا وللعمل كان لي شرف للمعرفة. لأرشيف، واسمه الآن "Berneri-Chessa" المباشرة والاجتهاد في ريجيو اميليا مع العاطفة من قبل ابنتها فياما Chessa، حصلت مؤخرا التخزين المحافظة في جمع وثائقها والسيرة الذاتية جميع الأعمال المنشورة وغير المنشورة يوجد حاليا في صندوق يدا Rafanelli. "كارلو غوري"
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martedì 13 novembre 2012

Carlo O. Gori. Fascismo. La “marcia su Roma” di un fascio diviso. Pistoia presidio fascista sulla Porrettana.


La “marcia su Roma” di un fascio diviso. Pistoia presidio fascista sulla Porrettana.

Il fascismo pistoiese pur non riuscendo ad esprimere nel tempo, per varie ragioni, un "uomo forte" (1) ebbe probabilmente, più di quanto si sia pensato finora, un ruolo rilevante durante gli avvenimenti della "marcia su Roma" acquisendo meriti che in seguito pesarono forse nella decisione di Mussolini di elevare il Circondario pistoiese a Provincia.  Sarebbe utile in tal senso un approfondimento in sede storica,  risulta comunque evidente che Pistoia,  terminale  toscano della ferrovia Porrettana (la "Direttissima" Firenze-Bologna verrà costruita solo più tardi negli anni Trenta),  aveva  nel 1922 una posizione strategica nelle comunicazioni tra il Nord e il Centro Italia  e che il controllo della stazione ferroviaria da parte degli squadristi pistoiesi nelle giornate tra il 26 ed il 29 ottobre 1922, permise di coprire le spalle alle colonne fasciste che marciavano su Roma, mettendole  al sicuro da possibili sgradite sorprese soprattutto nei primi incerti momenti della proclamazione stato d'assedio. 
Il fascismo pistoiese giunse all’appuntamento della “marcia su Roma” dopo un percorso iniziato ufficialmente solo il 22 gennaio 1921 sotto la guida di Nereo Nesi.  Tuttavia già durante le agitazioni operaie e contadine del "biennio rosso"  1919-1920, un liberale, Dino Philipson, giovane e ricco proprietario terriero, aveva avuto parte decisiva nella genesi del fascismo locale (2). 
Philipson, pur finanziando il movimento e rivendicando poi esperienze squadristiche, non fu tuttavia un fascista in senso vero e proprio (successivamente passerà addirittura all’antifascismo).  Il suo vero scopo era quello di servirsi delle squadre fasciste per stroncare il movimento operaio e contadino per poi, in un secondo tempo, ricondurre il fascismo nell’alveo della legalità. A tal fine nel marzo-aprile 1922 ispirò la nascita dell’Unione Democratica Pistoiese privando così il fascio pistoiese dell’apporto diretto di quegli esponenti del notabilato agrario e conservatore che in varie altre parti d’Italia avevano finito per snaturare in senso reazionario le confuse tendenze sinistreggianti (sindacalismo, futurismo, repubblicanesimo) espresse dal movimento fascista nazionale al suo sorgere nel 1919. 
La svolta di Philipson aprì quindi la strada in sede locale all'affermazione della componente della media e piccola borghesia urbana che ebbe l'esponente di punta nella figura di Enrico Spinelli, studente universitario di farmacia, ex-combattente; violento nelle imprese squadristiche non sarà tuttavia privo di una parte propositiva riassumibile in alcune teorie espressione del cosiddetto "fascismo di sinistra": primato dell'industria, collaborazione fra un capitale "controllato" e il lavoro, lotta alla rendita parassitaria, un partito di "duri e puri". 
A Spinelli,  il fascismo agrario pistoiese contrapporrà poi il commerciante Ilio Lensi, capo delle squadre d'azione nel 1922, uomo rozzo e violento, ma ambizioso al punto di prestarsi a qualsiasi ruolo. 
Gli anni dal 1919 al 1922 vedono dunque il movimento fascista, finanziato dagli industriali e dagli agrari e spesso tollerato e sostenuto da apparati centrali e periferici dello Stato, crescere ed affermarsi nel Paese grazie alla violenza squadristica. E’ quest’ultima che stronca, in Italia ed anche nel Pistoiese, nell’agosto del 1922, al culmine di un biennio di sangue, lo "sciopero legalitario" antifascista indetto dalle organizzazioni operaie il 31 luglio. 
Proprio in questi frangenti, il 5 agosto 1922,  usciva in città il settimanale "L'Azione fascista”. 
Il foglio segnava un significativo successo dell'ala intransigente permetteva ai fascisti di non dover più elemosinare spazio sul settimanale liberale "II Popolo pistoiese" e che sentiva di essere ormai forte a sufficienza per scrollarsi di dosso il peso della mal sopportata alleanza nel patto del Blocco nazionale con i liberali dell'onorevole Philipson.  Su questo giornale troveremo  la cronaca del ruolo svolto dagli squadristi pistoiesi durante le giornate dell’ottobre 1922, preannunciate già il 19 agosto da un fondo redazionale dal titolo "La marcia su Roma". 
Nel settembre il giornale, in vista delle elezioni comunali, sviluppa una forte polemica con i liberali di Philipson, rifiutando qualsiasi apparentamento e nel contempo attacca il mondo cattolico con lo scopo di ridurre alla sottomissione quegli esponenti del popolarismo, che seppur in concorrenza e spesso in contrapposizione ai "rossi", continuavano a rappresentare con le loro organizzazioni nelle campagne  un serio pericolo per gli interessi dei ceti agrari dominanti. 
Intanto mentre il governo del giolittiano Facta mostra tutta la sua inconcludenza e  varie amministrazioni comunali di sinistra, in Italia come nel Pistoiese, sono obbligate a dimettersi dalla violenza fascista, il consiglio nazionale del movimento si riunisce per stabilire i tempi della "marcia". 
Mussolini,  che aveva intanto rinunciato alla pregiudiziale repubblicana e riallacciato i rapporti con D'Annunzio, sembrava inizialmente accontentarsi  di una partecipazione fascista ad un Governo Giolitti, ma dopo la manifestazione di Napoli del 24 ottobre (sorta di “prova generale” alla quale prendono parte 40.000 camice nere) alza il prezzo e pretende la Presidenza del Consiglio. Si sposta così da Napoli a Milano, iniziando varie e complesse trattative politiche con Roma che vedono coinvolti numerosi personaggi, tra i quali , sembra, anche lo stesso Philipson (3),  mentre a Perugia un "quadrumvirato" formato da  Bianchi, De Vecchi, De Bono e Balbo si occupa del coordinamento operativo della “marcia”. Tra l’altro, alcuni storici , attribuiscono proprio al “quadrumviro” Balbo la decisione di forzare la mano al titubante Mussolini dando il via alla dimostrazione di forza che, per quanto riguarda Pistoia, comincia già dal 26 ottobre. Un manifesto convoca in sede gli iscritti e gli squadristi dichiarando disertore chi manca alle disposizioni,  mentre: "Gli onesti lavoratori, i cittadini tutti sono pregati di continuare la loro attività …gli scioperi…vengono …considerati… azioni delittuose"( 4 ). 
Il 27 ottobre, dopo le 10 del mattino, su camion e automobili parte il primo gruppo di circa 200 squadristi salutati "da una numerosa folla di simpatizzanti fascisti…che cantano inni patriottici" ( 5).  
Enrico Spinelli comanda la colonna formata di quattro squadre.  Ai suoi ordini sono: Dino Orlandini,  capo della "Disperata", Nello Paolini, comandante della " Pacino Pacini", Dino Lensi, alla guida della "Cesare Battisti" e  Giuseppe Costa, leader della "Randaccio".  La colonna si dirige verso Empoli dove è stabilito un punto di raccolta e dove giunge in serata dopo aver sostato alcune ore al passo di San Baronto. 
Intanto in città  sotto la guida di Lensi si formano 12 squadre di 25 uomini ciascuna che il giorno dopo occupano gli edifici statali, mentre Leopoldo Bozzi, di estrazione liberale, futuro podestà di Pistoia ed artefice dell'operazione "Pistoia-Provincia", occupa con gli ex-combattenti ai suoi ordini la sede dei telefoni e dei telegrafi e, soprattutto, l'importante stazione ferroviaria (6).  
Quindi quella numerosa presenza di fascisti in città  che a prima vista  appare  come una disobbedienza gli ordini dei quadrumviri che invitavano a tralasciare il controllo delle città "sicure” per portarsi a Roma (7) , diventa invece determinante nel quadro generale della "marcia". 
Curzio Malarparte asserì che fascisti pistoiesi avessero avuto precisi ordini in tal senso . Lo scrittore-giornalista pratese scrisse infatti di un treno di carabinieri respinto da alcune fucilate fasciste al ponte di Vaioni e di un camion di guardie regie provenienti da Lucca fermato a Serravalle dal fuoco di alcune mitragliatrici (8) . 
Di ciò non si hanno prove, si ha comunque fondata notizia che a Pistoia il 28 ottobre  venne bloccato in stazione un treno che portava a Roma un battaglione di alpini, carabinieri e guardie regie (9). 
Intanto la colonna guidata da Spinelli aveva proseguito in treno per Chiusi e Orte dove trovava la linea interrotta da alcuni carri rovesciati. Dopo aver aggirato l'ostacolo pretendendo posto in un altro convoglio si era diretta per Monterotondo dove giungeva nelle prime ore del pomeriggio del 29. Poco dopo la mezzanotte del 30,  i fascisti pistoiesi ripresero la marcia per Roma fermandosi in attesa di ordini, come tutte le altre colonne, alle porte della città.  In questi momenti domina in loro l'incertezza. 
Un partecipante, Giulio Innocenti, scrive: "... non sappiamo ancora quale piega hanno preso gli avvenimenti. La piazzaforte di Roma dispone, si dice, di cinquantamila uomini, "se sparassero?". Questa è la domanda muta". (10 )  
Infatti se lo stato d'assedio avesse avuto il suo corso e fossero intervenute le truppe, per gli squadristi non ci sarebbe stata partita, ma nella Corona e nei ceti dominanti prevale la tesi, ora che il movimento operaio è stato praticamente stroncato, di non sbarazzarsi del fascismo, ma di inserirlo, condizionandolo, nel sistema. Quindi il re respinge la  firma dello stato d'assedio dichiarato da Facta  (che si dimette) e il 30 ottobre affida il governo a Mussolini. Quest’ultimo giunge a Roma in treno e presenta subito il suo ministero nel quale figurano anche esponenti liberali e cattolici.  A questo punto gli squadristi possono entrare in città come fa anche la "colonna Spinelli", raggiunta nel frattempo a Roma dagli altri duecento fascisti pistoiesi  della "colonna Lensi". 
Il pistoiese Martino Moscardi  annota : "La nostra entrata è stata trionfale. Tutti i militari indistintamente, tutti i picchetti delle caserme ci accoglievano con l'onore delle armi, fraternizzando entusiasticamente con noi"(11). 
Le due colonne dopo essersi unite alla squadre di Bottai in una sanguinosa "spedizione punitiva" nei quartieri "rossi" del Trionfale e di S. Lorenzo marciarono poi, insieme alle altre, nella parata della vittoria che ebbe luogo nel pomeriggio  del 31 davanti al Re al Quirinale. Poco dopo la sfilata vennero devastate le sedi di vari giornali,  la Direzione nazionale del Partito Socialista e la Casa del Popolo di Roma. Si contarono molti morti e feriti. 
I primi atti del governo Mussolini, saranno l'abolizione della nominatività dei titoli, più volte auspicata dagli industriali, il ritiro di un precedente progetto di riforma agraria, già passato alla Camera e l'istituzione della Milizia: primi passi di un “regime” ventennale e liberticida, con buona pace di coloro, non ultimi i giornalisti del liberale "Popolo pistoiese" e del cattolico "La Bandiera del popolo",  che avevano salutato l'avvento di quel ministero con fiduciosa speranza o con inerte rassegnazione (12).  

                                          

    


                             Carlo Onofrio Gori







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1) Cfr. A. Cipriani, Il fascismo pistoiese. Genesi, sviluppo, affermazione, in "Microstoria", n. 16 (mar./apr. 2001); C.O.Gori, Figure del fascismo pistoiese. Una città che non seppe esprimere figure forti, in "Microstoria", n. 16 (mar./apr. 2001).
2) Cfr. C.O. Gori, Il "calmiere Lavarini" durante il Biennio rosso. Le giornate pistoiesi ripercorse attraverso i giornali di allora,  in "Microstoria", n. 11 (mag. 2000). Su questi aspetti cfr. anche: R. Risaliti, Nascita e affermazione del fascismo a Pistoia, in Farestoria, n. 1 (1983);  G. Petracchi, La genesi del fascismo a Pistoia, in 28 ottobre e dintorni, Firenze, Polistampa, 1994
3) Cfr. M. Francini, Primo dopoguerra e origini del fascismo a Pistoia, Firenze, Libreria Feltrinelli, 1976, pag. 133,  n.21
4) "L'Azione fascista" (28 ott. 1922).
5) G. Innocenti, Ave Roma!... Diario della marcia su Roma..., Pistoia, Arte della stampa, 21 aprile 1923, pag. 7
6) ivi, pag. 6
7) E' questa la tesi dello storico Marco Francini in Primo dopoguerra ...cit., pagg. 132-133
8) Cfr. C. Malaparte, Tecnica del colpo di stato, in Opere scelte, Milano, Mondadori, 1997, pagg. 264-265 
9) Cfr. M. Francini, Primo dopoguerra...cit., pag. 134
10)  G. Innocenti, Echi di guerra, in  "L'Azione fascista", (4 nov. 1922) 
11)  cfr. Innocenti, Ave Roma! ...cit. pag. 18
12) Cfr. "Il Popolo pistoiese" e "La Bandiera del popolo" del 4 novembre 1922. 


Mio articolo già pubblicato con lo stesso titolo su: "Microstoria",  n. 25 (set.-ott. 2002)





e successivamente su: 

http://members.xoom.virgilio.it/marivan53/fatti.htm#La "marcia su Roma" dei fascisti pistoiesi


e su: 


http://historiablogoriarchiviosplinder-cog.blogspot.it/2012/01/storia-avventure-di-viaggio-giovedi-06.html


Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore.

Scocciante, ma necessario e doveroso "avviso ai naviganti": anonimi estensori della voce "Storia di Pistoia" su Wikipedia, hanno dal 2007 in poi ampiamente "saccheggiato", inserendoli pari-pari e senza virgolette in quella pagina (ed in particolare nei capitoli "La genesi", "La marcia su Roma" e "Gli irriducibili della Valtellina"), questi miei articoli sul fascismo pistoiese precedentemente comparsi sulla rivista "Microstoria": Carlo O. Gori, Figure del fascismo pistoiese. Una città che non seppe esprimere figure forti in "Microstoria", n. 16 (mar.-apr. 2001); Carlo O. Gori, La “marcia su Roma” di un fascio diviso. Pistoia presidio fascista sulla Porrettana, in "Microstoria",  n. 25 (set.-ott. 2002); Carlo O. Gori, Gli irriducibili fascisti pistoiesi della Valtellina. Le vicende di Giorgio Pisanò e degli altri fedelissimi del regime, in "Microstoria", n. 33 (gen.-feb. 2004) e successivamente riprodotti da me stesso sui miei siti web (marivan xoomer virgilio) e blog (historiablogori.splinder.it e goriblogstoria.blogspot.com). Li ringrazio per la fiducia, ma l'hanno fatto senza citare le fonti:  il sottoscritto, la rivista o i blog da cui essi li hanno tratti