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venerdì 27 gennaio 2012

Carlo O. Gori. Resistenza e Liberazione. I "Giusti" di Toscana

“I Giusti” di Toscana

La trazione talmudica onora con l’appellativo di “Giusto tra le Nazioni” (חסידי אומות העולם)  il non-ebreo che abbia salvato l’ebreo dalle persecuzioni. 
In tal senso nel 1953, la Knesset (הכנסת) , il Parlamento israeliano, ha adottato una legge concernente la memoria dei Martiri e degli Eroi fondando un’istituzione ebraica universale sul Monte della Rimembranza, Har HaZikaron (הר הזכרון הר הרצל ) a Gerusalemme (ירושלים), il Memoriale di Yad Vashem (יד ושם)
Il titolo di “Giusto” individua e rende omaggio a chi, mentre infuriava la Shoah, ha soccorso ebrei, disinteressatamente e suo rischio e pericolo, ed è attribuito sulla base delle testimonianze oculari, oppure di documenti attendibili. 
Al "Giusto" vengono consegnati una medaglia e un diploma d'onore, durante una cerimonia che si svolge sia a Gerusalemme, che nel paese d'origine e fino a poco tempo fa egli piantava un albero sul Monte della Rimembranza, oggi invece, essendo ormai la collina fitta di piante, viene apposta una targa col suo nome nella sede del Memoriale.
Gli otto volumi dell’Enciclopedia dei Giusti, compilata dallo Yad Vashem, opera “aperta”, sempre soggetta a nuove edizioni di aggiornamento ed incremento, ci ricordano che oggi i “Giusti tra le Nazioni” sono più di 20.000, mentre il volume che riguarda il nostro Paese, recentemente pubblicato, I Giusti d'Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei, 1943-45, ci dice che già alla fine del 2005 gli italiani riconosciuti tali si aggiravano intorno ai 400, senza contare i dossier nel frattempo all’esame. Scorrendo il libro ci è sembrato senz’altro “giusto” soffermarsi, anche con il corredo di altri documenti, sulle pagine dei 23 Dossier che narrano le vicende e celebrano le figure dei "Giusti" toscani.
Dopo l’8 settembre 1943, l'occupazione tedesca e la nascita della RSI, anche in Toscana, dove furono istituiti o potenziati almeno quattro grossi campi di internamento, l’apparato politico e statale fascista repubblicano collaborò attivamente con i nazisti e, spesso di propria iniziativa, mobilitò nella caccia all’ebreo non solo le camice nere, ma anche polizia e carabinieri.
E’ in questo clima che maturano gli episodi di coraggio e di valore dei “Giusti” toscani ed è a Firenze il numero maggiore di dossier che li riguarda, anche perché il capoluogo toscano, con Torino, Genova e Roma, è uno dei quattro maggiori centri della Delasem in Italia. Qui opera il giovane rabbino Nathan Cassuto che crea un efficiente gruppo di assistenza ai profughi giunti in Italia dalle loro zone di rifugio dei Balcani oppure del Sud della Francia, fino ad allora occupate dalle truppe italiane. L’arrivo dei tedeschi e la chiusura della Comunità aggravava il problema di assistenza agli ebrei stranieri che continuavano ad affluire in città così il rabbino ed altri esponenti dell’organizzazione chiesero aiuto alla Chiesa cattolica fiorentina; i contatti con il cardinale Elia Dalla Costa furono tenuti tramite Giorgio La Pira, che abitava nel convento di San Marco. L’appoggio non si fece attendere ed il cardinale convocò immediatamente Padre Cipriano Ricotti, domenicano di San Marco, originario di Pistoia, e poi Don Leto Casini, parroco di Varlungo, incaricandoli di trovare riparo ai profughi. Grazie a Ricotti e a Casini, l’assistenza della Delasem tramite il neocostituto Comitato ebraico-cristiano assunse in breve proporzioni notevoli: i profughi venivano accompagnati in rifugi di transito come il Seminario minore, da dove poi venivano smistati verso insospettabili case private e soprattutto conventi e istituti religiosi (oltre ventuno) toscani ed umbri. Per chi voleva continuare la fuga verso le zone liberate o la neutrale Svizzera fu necessario trovare vestiario, viveri e documenti falsi che arrivavano sia tramite Mario Finzi, della Delasem bolognese, che mediante contatti con la Resistenza toscana attivati da Padre Ricotti. Noto in quest’ambito l’oscuro, faticoso e rischioso compito di “postino” fra Firenze e Assisi svolto dal grande campione ciclista Gino Bartali.
Purtroppo però l’opera di una spia infiltrata dalle SS nel Comitato, tal Felice Ischio da Torino, portò alle retate del 6/7 novembre a Firenze, Montecatini e Bologna, in seguito alle quali Padre Ricotti, molto esposto, venne prudenzialmente trasferito dalle gerarchie ecclesiastiche nel convento di Prato e poi, il 26 novembre, all’arresto della dirigenza del Comitato ed alla scoperta di molti rifugiati. Cassuto e ed altri vennero arrestati e deportati, mentre Don Leto Casini, tradotto ed interrogato a Villa Triste, poté poi scampare alle grinfie degli sgherri di Carità solo grazie ad un intervento deciso ed autorevole, ma indubbiamente rischioso, del cardinale Elia Dalla Costa. Continuò la sua opera, per la quale è stato anche insignito, il 25 aprile 2004, della Medaglia d’oro alla Memoria, nella completa clandestinità.
In ogni singolo dossier ci sono a volte molti “Giusti” che aiutano un solo ebreo, mentre nel caso di questi due eccezionali “Giusti”, Padre Ricotti (Dossier 2244) e Don Casini (D. 3546), avvenne esattamente il contrario: gli ebrei aiutati sembrano essere stati circa 300-400, soltanto nel periodo ottobre-novembre 1943.
Altri religiosi vicini al Comitato si assunsero allora il compito di ospitare e salvare non pochi rifugiati superstiti dalle retate di fine novembre, fra questi spiccano i nomi di Don Giulio Facibeni, figura carismatica della chiesa fiorentina, Pievano di Rifredi e fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa (D. 2987), che nascose vari giovani nel suo orfanotrofio e di Don Giovanni Simioni (D. 3546) che salvò 12 donne e bambini trasferendoli con un rischioso viaggio nell’originaria Treviso dove furono poi accolti da Don Angelo Della Torre e Don Giuseppe De Zotti. Altri “Giusti” fiorentini sono: Madre Maddalena Cei (D. 2961) che salvò la vita a 12 ragazze ebree polacche e belghe facendole travestire da suore e nascondendole nel convento delle Serve di Maria SS. Addolorata di via Faentina; il sessantenne Don Giulio Gradassi (D. 3433) che accolse la famiglia ebrea-polacca Pick; Lina e Mario Canterini (D. 1615) che salvarono i figli di Nathan Cassuto, Daniel ed Anna (poi purtroppo morta di malattia a Montecatini Alto); il pastore evangelico Tullio Vinay (D. 1621) che con i coniugi Amato e Letizia Billour (D. 3323), anch’essi evangelici, mise in salvo altri vari membri della famiglia Cassuto; Luciana Boldetti (D. 1336) che ospitò Anna Ottolenghi riuscendo poi a farle varcare la frontiera Svizzera; Gennaro Campolmi, azionista, (D. 2199) che procurò numerosi documenti falsi ai rifugiati e poi salvò con l’aiuto dell’amico Luigi Pugi (D. 781) la famiglia del suo datore di lavoro Goffredo Passigli; Lelio e Lina Lai Vannini (D. 1875) che accolsero la piccola Margherita Neehama Calfon trattandola come una figlia; Leonilda Barsotti Pancani che diede rifugio a quattro ebrei stranieri nella sua casa di via della Vigna Vecchia 3.
Prato annovera fra i “Giusti” Gino Signori (D. 1294), noto pittore, che durante la sua permanenza come internato militare al lavoro coatto ad Amburgo salvò, anche grazie alla sua mansione di infermiere ed alla perfetta conoscenza del tedesco, numerose donne ebree.
In provincia di Pistoia sono tre i dossier dei “Giusti”: quello delle famiglie di Sem e Maria Grassi di Agliana e di Pietro ed Albina Gori di Montale (D. 2620) che salvarono la vita ad Alberto Saltiel; quello della famiglia di Umberto ed Amina Natali (D. 3710) che a Pescia misero in salvo le sorelle fiorentine Lea, Michal e Miriam Della Riccia; ed infine quello della pesciatina Frisino Basso Lida (D. 1559) che nella sua casa di Lunata (LU) grazie anche all’aiuto dei padri del Convento di Porcari e di due partigiani, Michele Lombardi e Roberto Bartolozzi, trasse in salvo un folto gruppo di ebrei organizzando la fuga di cinque di essi in Svizzera.
A Lucca un coraggioso sacerdote oblato, il “Giusto” Don Arturo Paoli (D. 2560), sotto la diretta protezione dell’arcivescovo Antonio Torrini, diede vita con l’eroico ebreo pisano Giorgio Nissim, che aveva dovuto per sicurezza lasciare la propria città dove stava svolgendo una vasta opera di soccorso, ad un Comitato collegato alle Delasem di Genova e Firenze ed operante dal convento di via del Giardino Botanico. Il Comitato con il concorso di Don Siro Niccolai, Don Guido Staderini e Don Renzo Tambellini, e con l’aiuto di partigiani, di civili di ogni condizione e di religiosi e religiose di varie congregazioni, riuscì a nascondere in Lucchesia e Garfagnana decine e decine di rifugiati provenienti dalla Francia oppure delle vicine Pisa e Livorno.
A Pisa, le famiglie Di Porto, dopo l’emanazione dell’ordine di cattura di tutti gli ebrei da parte della RSI dei primi di dicembre 1943, si trasferirono in un casolare abbandonato nelle campagne di Montecatini Val di Cecina. Individuati, vennero avvertiti di un imminente rastrellamento dal medico Marcello Guidi e dal brigadiere dei carabinieri Francesco Soro. Soccorsi da molti contadini, trovarono poi sicura e definitiva accoglienza nel podere Le Tinte gestito dalla famiglia Bartalucci composta da Biagio, dal figlio Bruno, dalla moglie Armida Belucci e dalla nuora Giacomina Gallinaro (D. 2362).
A Marina di Carrara, malgrado il continuo andirivieni delle truppe tedesche che presidiavano la “Gotica”, la famiglia del fervente antifascista Alessandro Sgatti, composta dalla moglie Irina e dalla figlia Luce (D. 2382) riuscì ad accogliere dal novembre ‘43 all’aprile ‘45, nascondendone abilmente l’identità e trattandolo come un figlio, il tredicenne milanese Adolfo Vitta il cui padre era stato deportato ad Auschwitz.
A Siena il sig. Giacomo Sadun, avuta notizia della retata romana dell’ottobre 1943, decise di nascondere la sua numerosa famiglia (9 persone): le donne trovarono asilo presso il convento di S. Regina protette dalla madre superiora Moggi, mentre gli uomini furono accolti nella parrocchia di Don Rosadini a S. Agnese a Vignano. Alla notizia delle irruzioni nazifasciste del dicembre 1943 nei conventi fiorentini la famiglia ritenne consigliabile lasciare i propri rifugi e venne per lungo tempo ospitata dall’anziana signora Elvira Pannini (D. 1653) e poi dalle famiglie Adami e Cardini.
A Giampiereta, paese di montagna in provincia di Arezzo, trovò asilo Umberto Franchetti, noto pediatra fiorentino, con la moglie Anny Pontremoli e le figlie Lina, Celestina e Luisa. La famiglia sfuggita nel capoluogo toscano alla retata nazifascita di novembre, venne affidata da un amico del professore, frate Achille del convento de La Verna, a Francesco ed Emilia Ciuccoli (D. 4282), che la ospitò amorevolmente sottraendola anche, con l’aiuto di tutti i paesani, all’ identificazione durante un rastrellamento antipartigiano operato nella zona dalla divisione Hermann Goering.
Infine, in provincia di Grosseto, ben due dossier riguardanti otto “Giusti” interessano il suggestivo borgo di Pitigliano, la “piccola Gerusalemme”, sede di una delle più antiche comunità ebraiche italiane che prima delle leggi razziali arrivava al dieci per cento della popolazione locale. Il Dossier 5295 riguarda Agostino e Annunziata Nucciarelli, Sem ed Adele Perugini, Domenico e Letizia Simonelli che con l’aiuto di altri compaesani salvarono la numerosa famiglia Poggi Sadun, mentre il Dossier 2824 concerne il “Giusto” Fortunato Sonno che mise in salvo la famiglia Servi che viveva a Pitigliano da molte generazioni.
Queste, in sintesi, le storie ed i nomi dei “Giusti” toscani: ciascuna meriterebbe per lo meno lo spazio di un articolo. Dei lettori potranno tuttavia meravigliarsi di non aver trovato qualche protagonista di consimili episodi a loro noti, ma in proposito Yad Vashem è chiaro: i finora riconosciuti “Giusti” sono molti meno di quelli che dovrebbero essere, molte pratiche sono aperte, comunque la conditio sine qua non per l’avvio delle procedura di riconoscimento, (lunga, complessa e rigorosa) è che salvato/i e/o salvatore/i, o loro discendenti, debbano farne esplicita richiesta e questo in molti casi non è stato (ancora) fatto poiché i “Giusti” obbedirono ad un dovere morale come la cosa più naturale da fare in simili circostanze, senza chiedere ed aspettarsi niente. Uscirono così dalla vasta e comoda “zona grigia” dell’indifferenza, dell’opportunismo, della paura, affrontando serenamente i pericoli rappresentati da persecutori fanatici, spie ed interessati delatori.
Umili eroi senza armi riscattarono, anche loro, l’onore del nostro Paese.


                                                                 Carlo Onofrio Gori


Sintesi e rielaborazione dell’articolo di Carlo O. Gori, “I Giusti” di Toscana: schiaffo all’“indifferenza”. La storia dei toscani che operarono in favore degli ebrei durante le persecuzioni nazifasciste, il ruolo della chiesa e della gente comune, in “Microstoria”, n. 51 (gen-mar. 2007). 




Per le note consultare l'articolo sulla rivista suddetta. 

Questo articolo è riproducibile, del tutto o in parte, avendo però cura di citare chiaramente l'autore e le fonti. 




giovedì 19 gennaio 2012

Carlo Onofrio Gori. Resistenza. Manrico Ducceschi "Pippo"


Vita e morte del Comandante "Pippo”

Per la coscienza di molti giovani l'armistizio dell' 8 settembre 1943 e l'occupazione tedesca, comportando scelte drammatiche, furono come una cartina di tornasole: molti si nascosero o si defilarono; alcuni, per paura, fede o malinteso senso dell’onore, scelsero di aderire alla “repubblichina” fascista; non pochi seppero invece reagire e scegliere con maturità e sicurezza, in modi e tempi diversi, la strada della Resistenza. In alcuni emersero attitudini e qualità che altrimenti sarebbero forse rimaste per sempre sopite: ci sembra questo il percorso del pistoiese Manrico Ducceschi, ricordato solo fino a pochi anni prima negli ambienti dell'élite un po' conformista e provinciale del cittadino liceo "Forteguerri", come studente, indubbiamente intelligente, ma dispersivo e non certo brillante.  
Ducceschi nacque a Capua l’11 settembre 1920, da Fernando, pistoiese, agronomo, e da Matilde Bonaccio, casalinga; avrà poi una sorella, Leila. Compiuti gli studi medi e superiori a Pistoia si iscrisse e frequentò, in questo caso con profitto, la Facoltà di Lettere di Firenze prendendo anche contatto con "Giustizia e Libertà", ma nemmeno in quell'ambiente sembrò particolarmente distinguersi ed emergere. L'armistizio trova Ducceschi a Tarquinia, allievo ufficiale del V Rgt. Alpini. Manrico riesce a sottrarsi alla cattura tedesca ed a rientrare a Pistoia, dove abitava in via Bellini 3, dirigendosi subito dopo a Firenze dove riprende i contatti col Partito d'Azione. Inviato sulla Montagna pistoiese con pochi compagni, assume inizialmente il nome di battaglia di “Pontito” e mostra ben presto insospettate doti di organizzatore. Già a metà settembre, costituisce la prima brigata "Rosselli" ed in questo primo periodo, che va dal settembre 1943 al gennaio 1944, gli sforzi sono indirizzati all'organizzazione: prende contatti col Cln di Lucca, recupera armi, costituisce una rete di supporto, inserimento e preparazione di nuovi combattenti e, creando in tutta la zona nuclei di informatori e simpatizzanti sulla base di solide relazioni con parroci, pastori e con qualche comandante di stazione dei carabinieri; assorbe poi alcune formazioni minori del Pesciatino e della Lucchesia con i cui uomini intraprende le prime azioni di sabotaggio: crea insomma quell’atmosfera di entusiasmo e collaborazione che sarà la base essenziale per i successi del 1944 e del 1945. Assunto il nome di battaglia di “Pippo”, riferendosi ad uno pseudonimo usato da Giuseppe Mazzini (come ci ha recentemente confermato Carlo Gabrielli Rosi, suo seguace di quel tempo), stabilisce poi il quartier generale alle Tre Potenze e organizza i suoi uomini in settori, gruppi e distaccamenti, giungendo via via a coprire un vasto e nevralgico settore nella zona della Linea Gotica: dalla Val di Lima, all'Abetone, da parte dell'Appennino modenese, alla Garfagnana ed alle valli del Pescia e della Nievole; rientra, tra l'altro, nel suo campo d'azione, la Statale 12 dell'Abetone e del Brennero, fondamentale per gli spostamenti delle truppe nazifasciste. Il 16 marzo 1944 la formazione assumerà "dietro parere concorde di tutti i componenti" la denominazione ufficiale di "Esercito di Liberazione Nazionale-XI Zona Militare Patriotti" prendendo l'impegno, sempre gelosamente difeso dal suo comandante, di darsi “un carattere essenzialmente apolitico e ... fini esclusivamente militari e patriottici". “Pippo” infatti, pur accogliendo fra le sue, file antifascisti di appartenenza o di estrazione politica eterogenea (giellisti, monarchici, anarchici, comunisti, senza partito), vedeva tuttavia nel dibattito politico e nelle divisioni partitiche un serio ostacolo ad un rapida vittoria contro il nazifascismo . Vale la pena, a questo proposito, citare un brano scritto nel 1957 da Maria Luigia Guaita, inviata nel giugno del 1944 presso di lui dal CTLN per ottenerne una relazione: «Pippo ... era uno dei comandanti più autorevoli e stimati di tutta la Toscana ... Già a giugno aveva sotto di sé più di mille uomini, ormai equipaggiati e armati, la formazione più forte di tutto il pistoiese e dintorni... Era il migliore dei nostri comandanti. Lo ricordavo appena dieci mesi prima studente di lettere timido, serio, il più giovane fra gli amici... ora lo guardavo... comandante partigiano. Ancora più magro più calvo, ma abbronzato e sicuro di sé incuteva soggezione e affetto ... gli dissi quello che volevano conoscere al comando militare ... Tornò ... con ... le indicazioni richieste ... Allora ... gli mostrai varie copie dei punti programmatici dei Partito d'Azione e altri opuscoli di propaganda. Per i politici era importante quanto il combattere che i partigiani ... maturassero nelle idee ... Pippo sorrideva ..."Non li butterai mica via? ... Ci costano tanto di ansie e di soldi!". “E chissà quante discussioni” disse Pippo e rideva, .... ma mi accorsi che nel fondo era triste e deluso ... E scoteva la testa» . Questa maturata e crescente attenzione agli aspetti militari dell'azione partigiana, piuttosto che a quelli di scelta e di equilibrio politico, porterà Ducceschi a sottrarsi sempre più all'autorità dei CLN ed privilegiare rapporti diretti soprattutto con gli Alleati, ma anche, in rari casi, con emissari "badogliani" del governo del Sud, per questo verrà poi da più parti ingiustamente qualificato, lui sostenitore della forma repubblicana, come "monarchico". Malgrado i dissidi, tutto ciò non impedirà, tuttavia, in alcune occasioni, sia la collaborazione dell'XI Zona con i CLN locali, sia, spesso pur fra divergenti opzioni operative, con altre formazioni politicamente caratterizzate come la pistoiese "Bozzi", organizzata dal PCI, e le formazioni emiliane comandate da "Armando" . Compiuta una scelta prettamente "militare", "Pippo" dimostra appieno le sue capacità: i suoi distaccamenti attaccano i presidi nazifascisti, resistono con efficacia ai rastrellamenti ed ingaggiano vere e proprie battaglie, sovente vittoriose, contro ingenti convogli nemici nelle quali a volte usufruiscono dell'appoggio aereo alleato. “Pippo” è infatti collegato, tramite il pistoiese Giovanni La Loggia, amico di Silvano Fedi ed agente dell' Oss paracadutato ed aggregato al suo gruppo, conl'intelligence americana, impegnata nel pesciatino con le missioni "Berta" e "Carnation", e grazie a ciò verrà rifornito con aviolanci ed allaccerà poi, "sul campo", ottimi rapporti con le truppe brasiliane e statunitensi. Il grande credito riscosso via via da "Pippo" presso gli Alleati è anche conseguenza di una clamorosa azione condotta l'8 giugno 1944 da alcuni suoi uomini nei pressi dell'Abetone in seguito alla quale rimane ucciso l'ammiraglio Mitsunobu, addetto militare giapponese presso la RSI e vengono rinvenuti e poi consegnati agli americani importantissimi documenti , alcuni dei quali, come ci ha recentemente assicurato Tiziano Palandri, vice-comandante della formazione, risultano tutt’ora secretati. Dopo la liberazione di Bagni di Lucca (28.9.45), e di Barga (9.10.45), raggiunti dalla V Armata, i partigiani di Ducceschi, dall'ottobre 1944 prestano servizio "come truppa di linea inquadrata in forma di reparto regolare ed organico" , poi denominata "Battaglione Autonomo Patrioti Italiani Pippo" e, con divise ed equipaggiamento americano, contribuiscono a "tenere" ben 40 km del fronte, dalla Garfagnana all'Appennino pistoiese opponendosi alle forze tedesche ed ad alcuni contingenti delle divisioni "Italia", "San Marco" e "Monterosa" della RSI. In particolare nel momento della forte offensiva scatenata in Garfagnana nei giorni del Natale 1944 (in contemporanea con quella più ampia sviluppata nelle Ardenne) dalle truppe nazifasciste, essi al prezzo di numerosi caduti e dispersi, ressero efficacemente nella zona di Sommocolonia e sulla parte destra del Serchio, e pur dovendo necessariamente ripiegare, diedero tuttavia il tempo necessario alle truppe alleate per potersi riorganizzare e condurre con successo la controffensiva. La formazione di "Pippo" fu quindi la sola unità partigiana toscana (una delle poche in Italia) mantenuta in linea dagli Alleati "in piena efficienza e con tutti gli uomini accanto alle loro truppe" ; inoltre a quanto ci risulta, con la 28° Brigata garibaldina “M. Gordini” di “Bulow” Boldrini e la Brigata “Maiella” di Ettore Troilo, che operarono nella parte adriatica del fronte, essa fu una delle sole tre formazioni partigiane a cui fu concesso, per riconosciuta capacità militare, di avanzare insieme a loro nell’offensiva finale: anche per questo è stata poi giustamente (ma forse meno delle altre due) ricordata come "una delle più importanti ... che abbiano operato ... nella Resistenza italiana" .Gli uomini di “Pippo”, spesso precedendo le truppe alleate, partecipano così alla liberazione di Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza (dove tra l'altro si svolse un aspro combattimento con molti feriti ed un caduto) ed entrano successivamente in Milano e questa nuova prova di valore valse l'ammirazione profonda e la definitiva stima degli Alleati tanto che fu loro ulteriormente accordato "l'onore di tenere le armi e di combattere fino ai territori tedeschi, onore che non avemmo il tempo di godere   ricordò Lindano Zanchi, nel dopoguerra attivista del PCI pistoiese - perché quando stavamo per partire la Germania capitolò; cosicché l'onore delle armi ci fu consentito per il rientro alla nostra sede. Infatti, noi rientrammo all'Abetone con tutti gli automezzi ... e con le armi. Lì all'Abetone le depositammo per consegnarle". “Pippo”, decorato con la "Bronze Star" americana, nel dopoguerra si trasferisce a Lucca dove risiede in Piazza San Michele. Non è un buon momento per il Comandante: prevalgono ora fra i partiti della Resistenza quelle diatribe politiche che tanto lo avevano disgustato durante la lotta armata e che non aveva mai saputo o voluto comprendere e che ora vede di ostacolo all’urgenza di una patria nuova da ricostruire; subisce anche molti processi per le azioni e le condanne da lui decretate nei confronti di fascisti colpevoli, dai quali peraltro esce sempre assolto come uomo dalle indiscutibili qualità morali . Fra il '47 ed il '48, nel clima della guerra fredda, riprendono i contatti fra “Pippo” e gli americani, in quanto il Comandante sembra disponibile a tornare in montagna con un gruppo selezionato di suoi collaboratori, nell’eventualità, allora molto temuta in ambito moderato, di una invasione sovietica del Paese; rifiuta comunque l'ipotesi di qualsiasi possibile contatto con ex-repubblichini. Nelle prime ore del pomeriggio di giovedì 26 agosto 1948, Ducceschi viene trovato impiccato nella camera della sua abitazione: suicidio, diranno le indagini, ma sulle circostanze della sua morte, che risale a due giorni prima, molti dei suoi collaboratori nutriranno sempre dubbi, avanzando ipotesi di responsabilità e scenari e fra loro molto diversi ed anche contrastanti. Le successive inchieste giudiziarie, più volte riaperte, anche in tempi recenti, pur non fugando i dubbi, hanno tuttavia finora ufficialmente confermato il verdetto iniziale. I funerali del Comandante furono celebrati a Lucca "in forma particolarmente solenne" il 28 agosto ed un picchetto della Divisione "Friuli" gli rese gli onori militari.
                                                                                         
                                                                




             Carlo Onofrio Gori 


Carlo O. Gori e Giorgio Petracchi
Nella foto sopra da sin.: io, 
il Prof. Giorgio Petracchi. 
autore del fondamentale
libro su "Pippo" 
Al tempo che Berta Filava 
e, seminascosto, Andrea Ottanelli.


Carlo O. Gori, “Pippo” partigiano senza parte, in “Microstoria”, n. 40 (mar./apr. 2005);
C.O. Gori, Manrico Ducceschi: vita e morte di un partigiano, in “Patria indipendente”, n. 5 (21 mag. 2006), 
I suddetti articoli sono consultabili con note anche sul bel sito di Laura Poggiani (nipote del Comandante): :
 vd. anche:



Questo articolo è riproducibile, del tutto o in parte, avendo però cura di citare chiaramente l'autore e le fonti.  


Monument Dedicated to Pippo’s Brigades


By Albert R. Materazzi
On July 31, 2005 a ceremony dedicating a monument was held at Pian Novello honoring Partisans of the Eleventh Zone Partisans Brigades (whose commander was the late Manfredo Duccceschi aka Pippo) and Fifth Army Soldiers who made the “ultimate sacrifice” in the war to liberate Italy from the cruel Nazi/Fascists. Sponsoring it were veterans of the Brigades led by OSSer Tiziano Palandri, wartime vice commander of the Brigades, and the commune of Cutigliano near where it was erected. 
This event is unique; nowhere in Italy has the USA OSS assistance been so recognized.
The principle orator was historian Prof.Carlo O. Gori of the University of Pistoia. His speech was written with the assistance of Tiziano. He paid tribute to the help and courage  of the Americans, and noted the numerous documents from NARA we furnished that enrich the town’s historical archives.
After Rome was liberated, seven of its best divisions were transferred to the Seventh Army for the invasion of southern France. As the result, the Fifth Army was unable to breach the German Gothic line. The war in Italy became the “forgotten war” during one of the worst winters in Italy’s history in what turned out to be a stalemate. The Allied troops were spread thin. The inexperienced and poorly
trained 92nd division anchored the western edge of the Allied line.
During the advance the army came into contact with the Pippo Brigades in the Serchio valley that parallels the coast. It was based in Barga, located in the no-man’s land of the opposing armies. It was obvious that the partisans could be a great asset. The OSS Fifth Army Detachment was responsible for furnishing tactical intelligence and nurturing the partisan effort. Lacking sufficient personnel, five
officers and twenty enlisted men from the Italian OGs were placed on detached service to assist them. The area was in the II Corps sector, for which the late Maj. Stephen Rossetti was the OSS liaison officer. He placed OG. Capt. Gerald Sabatino with the Pippo Brigades who noted his courage
and ability. Using mules, supplies were sent to them over the mountains On Christmas Day 1944, the Fascist Monte Rosa Division,reconstituted and including German officers and specialists, attacked the 92nd Division positions in the Serchio Valley. The inexperienced soldiers panicked and retreated, placing the port of Leghorn in jeopardy. The next day the Pippo brigade struck the flanks of the invaders at Sommocolonnia. Fearing a trap the Monte Rosa retreated. 
The Pippo Brigades continued fighting alongside the allies until they reached Milan.

                           "The O.S.S. Society Inc." (Winter 2006)


Questo articolo è riproducibile, del tutto o in parte, avendo però cura di citare chiaramente l'autore e le fonti.  

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Notizia relativa al blog http://historiablogori.splinder.com


 Da:Splinder <supporto@splinder.com>   [Aggiungi alla rubrica]
 A:cog@interfree.it
 Data:19 Gen 2012 - 16:43
 Oggetto:Dismissione splinder


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Ti ricordiamo che il 31 Gennaio 2012 il servizio Splinder sul quale hai realizzato il tuo blog historiablogori, verrà dismesso. 

martedì 17 gennaio 2012

Carlo O. Gori. Fascismo e Antifascismo. Gli "irriducibili" pistoiesi di Salò in Valtellina


Gli irriducibili fascisti pistoiesi della Valtellina

A quasi sette mesi dalla liberazione di Pistoia (8 settembre 1944) scoppiava l’insurrezione in Nord Italia ed alle ore 15 del 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como, veniva fucilato Benito Mussolini. Un paio d’ore dopo, ad una distanza di una cinquantina di chilometri, a Ponte in Valtellina, cominciavano ad arrendersi ai partigiani gli ultimi fascisti in armi: tra i molti toscani presenti nelle loro file troviamo anche alcuni pistoiesi capeggiati da Giorgio Pisanò. Ma chi erano questi “irriducibili” a cui accenna anche Pansa in un suo recente e discusso libro? (1)
Per rispondere alla domanda oltre a consultare i vari scritti di Giorgio Pisanò, storico e senatore neofascista, scomparso nel 1997, e di altri, (2) occorre sfogliare il giornale pistoiese degli universitari fascisti repubblicani "Tempo nostro”, uscito come supplemento al periodico federale “Il Ferruccio” fra il novembre 1943 ed il maggio 1944. 
L'8 settembre 1943, il ferrarese Pisanò si trovava solo da pochi giorni a Pistoia, dove era stato trasferito il padre, funzionario di prefettura. Quella sera, racconta, pianse all’annuncio dell’Armistizio, ma trovò ben presto la solidarietà di un piccolo gruppo di giovani tra i quali Maurizio Degl’Innocenti, Valerio Cappelli, Rolando Chelucci, Ruy Blas Biagi, Mafilas Manini, Agostino Danesi che insieme ad altri, con l'arrivo dei tedeschi, riapriranno la federazione fascista. (3)
Dalla lettura di “Tempo nostro” si coglie subito che per loro non ci saranno dubbi, ripensamenti o possibilità di sosta in “zone grigie"  per precostituirsi quegli alibi che premetteranno ad altri, nel dopoguerra, di giustificarsi di aver indossato le divise della RSI, adducendo per attenuanti costrizioni o necessità, oppure lo scopo di porre un freno alle rappresaglie naziste verso un paese “traditore”. Ne è testimonianza inequivocabile il titolo di alcune rubriche del giornale, “Misteri” ed “Al muro”, in cui, invocando esemplari punizioni,  i giovani “repubblichini” pistoiesi fanno i nomi, non soltanto di coetanei militanti nelle formazioni partigiane (Fedi, La Loggia, Panconesi, ecc.), ma anche di chi, già fascista, dopo il 25 luglio ha tradito, oppure di chi ha aderito alla RSI per convenienza come ad es. “i molti ufficiali…che...si sono ripresentati per il maledetto e lurido stipendio”. (4)
In questo contesto emerge ben presto la delusione degli articolisti, capeggiati dal direttore Manini, che nota: “il rinnovo ancora non c’è... sono sempre le solite facce. E le solite facce non sono fascisti puri” che continuano ad agire "nel clima di sempre, bigio ed insincero”. (5)
Danesi rincara la dose: “prima del 25 luglio se le cose non andavano bene si poteva dire, a ragione che forze occulte lavoravano contro lo Stato Fascista; ma oggi? ...a tutt'oggi e nei fatti la politica del Partito Fascista Repubblicano non differisce affatto da quella del Partito Nazionale Fascista”. (6)
In effetti a Pistoia “…di fatto la composizione del partito ricalcava il vecchio organigramma”. (7)
Ma allora in che modo i giovani fascisti pistoiesi, alcuni dei quali sensibili alle vaghe istanze socializzanti di Salò, (8)  potevano affermarsi come artefici del “rinnovamento repubblicano”? Scrive Manini: “Appartenere al PFR deve essere titolo d'onore... Il destino ci offre l'occasione…Sarà impugnando le armi contro il nemico...che ritroveremo noi stessi, sarà nella battaglia che saremo vagliati". (9)
Così alcuni coerentemente partono arruolandosi come allievi ufficiali nelle varie formazioni di Salò: Pisanò, Manini, Degl’Innocenti, Stelvio Dal Piaz, Ennio Albano, Leo Maccioni, Luciano Savino, ecc. (10 )
Fra questi si conteranno ben presto i primi caduti come Valerio Cappelli (GNR) e il “parà” Rolando Chelucci, mentre Ruy Blas Biagi  (“NP” X Mas) verrà fucilato dagli alleati presso Firenze dopo un’azione di sabotaggio oltre le linee nemiche. Cosa fanno quelli che restano lo si evince da un articolo di Enzo Pasi in cui traspare tutto lo sgomento e l'irritazione per l'isolamento che ormai sempre più li circonda: “Abbiamo partecipato...alle azioni di rastrellamento e di polizia effettuate tempo addietro nella nostra città e in altre zone limitrofe...Abbiamo veduto nei vostri occhi il timore, il risentimento, spesso l'odio e ne abbiamo sofferto ...Non siamo affatto presi dal gusto d'imprigionare la gente...abbiamo agito, più ancora agiremo, perché tra voi esistevano ... degli elementi sobillatori, degli sfruttatori del popolo, dei badogliani convinti e militanti, dei renitenti sordi alla voce della Patria, dei ricettatori  di prigionieri nemici...Noi vi tendiamo la mano e voi ci sputate sopra...non capite che la giusta...sistemazione del vostro avvenire riposa nella vittoria del Tripartito?. E perché allora rifiutate di collaborare...? O forse attendete...i “liberatori”? Badate a voi! ...Vogliamo aiutarvi anche se non lo volete....Risvegliatevi. Dio è con noi, per la nostra Vittoria”. (11)
Ma fra bombardamenti alleati ed azioni della Resistenza si avvicina piuttosto la Liberazione e la resa dei conti:  infatti anche nel pistoiese “dopo il marzo 1944 si assiste ad un rafforzamento sempre più rapido del dispositivo politico-militare delle formazioni partigiane" (12), soprattutto da quando la guida del CLN locale era passata nel maggio 1944 al comunista Italo Carobbi.  Inoltre dalla metà del giugno ’44 a Pistoia ed in gran parte della Toscana, dopo le notizie della liberazione di Roma e dello sbarco in Normandia, si sfalda rapidamente l’apparato governativo di Salò e, mentre tutto il potere si va concentrando nelle mani dei tedeschi, le federazioni fasciste delle province di Firenze, Livorno, Pistoia e Arezzo dispongono lo sfollamento dei propri militanti e delle loro famiglie in Valtellina. (13 ) 
La scelta cade sulla provincia di Sondrio, sia perché nota zona turistica con strutture alberghiere ampiamente attrezzate per accogliere un notevole numero di rifugiati, sia perché ben presto la Valtellina sarà prescelta da Mussolini, su proposta del segretario del PFR, il fiorentino Pavolini, peristituirvi il cosiddetto Ridotto Alpino Repubblicano, cioè l'ultima difesa della RSI. Quindi una cinquantina di fascisti pistoiesi con le loro famiglie, in tutto circa 200 persone, si sistemano nel giugno-luglio ’44 a Bormio e dintorni, e ben presto, secondo un rapporto della GNR locale, si distinguono perché “…Scorrazzano ovunque arbitrariamente, perquisendo e minacciando i cittadini econsiderando l’Alta valle terra di conquista”  anzi tra loro stessi, nota la stessa fonte, “regnano forti dissidi, tanto che non hanno … ancora stabilito chi debba essere il loro comandante”. (14)
Vengono ricordati fra i più “…duri e decisi i fratelli Danesi, amici di Pisanò….Renzo Barbini, ufficiale della “Gatti” poi fucilato alla fine delle ostilità, oppure la famiglia Evangelisti”. (15)
A loro si uniranno verso il 20 aprile ‘45,  Manini e Pisanò, che fino ad allora avevano svolto compiti di agenti segreti nell’Italia liberata. Essi si accorgono subito dell’inconsistenza militare del ridotto valtellinese: la strada principale che passa sul fondovalle a fianco del fiume Adda è spesso sotto il tiro dei partigiani, particolarmente attivi dall’estate ’44, che sparano dall'alto dei versanti nascosti nella fitta vegetazione prealpina, isolando progressivamente i fascisti in centri abitati praticamente scollegati l’uno dall’altro. In aprile ormai i partigiani delle Fiamme Verdi già controllano gran parte della Alta Valle, mentre le Brigate Garibaldi risalgono dalla parte inferiore vicina al Lago di Como. Al fianco dei “repubblichini”, curiosamente, si trova in Valtellina anche un battaglione di fascisti francesi della Milice, comandati da Joseph Darnand, ministro degli interni di Vichy, scampati all’avanzata alleata e degaullista in Francia. Pisanò con la  squadra d’azione pistoiese, autonoma e solo formalmente dipendente dalla Brigata nera locale, cerca di collegare i presidi di Mazzo e di Grosio, ma ben presto deve ritirarsi con gli altri reparti fascisti a Tirano con lo scopo di dirigersi successivamente a Sondrio per un’ultima resistenza. La colonna, composta di circa 600 uomini e ben armata, quando si trova nei pressi del Santuario di Madonna di Tirano, a poche centinaia di metri dal confine Svizzero, viene però inchiodata fino a sera dal fitto tiro delle mitragliatrici partigiane. Solo a notte fonda un gruppo riuscirà a sganciarsi ed a raggiungere Ponte dove il giorno dopo sarà, non senza difficoltà, convinto a gettare le armi dallo stesso comandante fascista, generale Onori che già aveva capitolato a Sondrio.
La resa definitiva del cosiddetto “Ridotto Alpino Repubblicano” avverrà, dopo aspri combattimenti, il giorno successivo a Tirano. Dopo la Liberazione furono tutto sommato rari ed isolati i casi di violenze e rappresaglie verso gli sfollati civili toscani in Valtellina, mentre invece non pochi dei loro parenti in armi, legionari della GNR e squadristi delle BN, compresi alcuni pistoiesi, non si sottrarranno a stragi e vendette. (16 )
Andrà bene invece, in questi frangenti conta molto anche il caso,  a  Pisanò, Danesi ed altri che rimarranno prigionieri, mentre Manini morirà di malattia, in clandestinità, a Milano. Fra coloro che non avranno alcuna possibilità di cavarsela, Darnand ed i collaborazionisti francesi che, consegnati a De Gaulle, verranno tutti, sistematicamente, giustiziati. 
                                                                         
                                                       



                                      
                           Carlo Onofrio Gori                     


                                                       






Note:

1) G. Pansa, Il sangue dei vinti, Milano, 2003, pp. 66-77.
2) Cfr. G. Pisanò: Gli ultimi in grigioverde, Milano, 1965;  La generazione che non si è arresa, Milano, 1964; Storia della guerra civile in Italia, Milano, 1966; Io fascista, Milano, 1997; R. Lazzero, Le brigate nere, Milano, 1983; M. Fini-F. Giannantoni, La resistenza più lunga: lotta partigiana in Valtellina 1943-1945, Milano, 1979;  A. Rossi, Sfollati toscani in Valtellina, in “Farestoria”, n. 22, 1994, ecc.
3) Cfr. G. Pisanò, Io fascista, cit. p. 16. Oltre ai collaboratori qui ricordati,  sul periodico compaiono anche articoli di:  Leopoldo Romoli, Marcello Vannuccini, Loris Lenzi, Guido Gherardenghi, Salvatore Sanvoisin, Enzo Allegri, Alessando Piccolini, Silvestro Fierabracci.
4) S. Dal Piaz, Attenzione ai profittatori, in “Tempo nostro”,  25.12.1943
5) M. Manini, Rinascita, in “Tempo nostro”,  10.11.1943; M. Manini, Non deludere, in “Tempo nostro”, 25.12.1943.
6) A. Danesi,  Promettere e mantenere, , in “Tempo nostro”,  25.12.1943.
7) L. Bruschi-M. Francini, Il fascismo pistoiese durante la guerra, in Pistoia tre anni 1945-1945. Identità di una città in guerra, Pistoia, 1980, p. 10
8) “Il Ferruccio”, 10.10.1943.
 9) M. Manini, Rinascita, in “Tempo nostro”,  10.11.1943.
10) I giovani fascisti repubblicani partono, in “Tempo nostro”,  25.12.1943. In seguito a queste partenze molti articoli saranno firmati da donne: Berta Carrara, Maria Antonietta Orsini, Sara Benesperi, Arianna Lenzi, ecc.
11) E. Pasi, Ai pistoiesi, in “Tempo nostro”,  23.5.1944.
12) R. Risaliti, La Resistenza a Pistoia. Aspetti e caratteri, in Pistoia tre anni 1945-1945, cit. pp. 27-28.
13) A. Rossi, Sfollati toscani …cit., pp. 3-4.
14) Notiziario della GNR di Sondrio, Novembre 1944, AICSML Como, cit. in A. Rossi, Sfollati toscani …cit., p. 4.
15) A. Rossi, Sfollati toscani …cit., p. 5.  Da notare che Marcello Danesi, cugino dei ricordati, è un caduto della Resistenza al quale è stata poi  intitolata una piazza di Pistoia.
16) ivi, pp. 10-11. Si salveranno anche gli altri collaboratori di “Tempo nostro” non presenti in Valle, il nome di qualcuno lo risentiremo in più recenti cronache legate al caso Gelli-P2 



Tratto dal mio articolo: Carlo O. Gori,
Gli irriducibili fascisti pistoiesi della Valtellina. Le vicende di Giorgio Pisanò e degli altri fedelissimi del regime, in "Microstoria", n. 33 (gen.-feb. 2004)




Pubblicato anche in: 

http://historiablogoriarchiviosplinder-cog.blogspot.it/2012/01/storia-l-ultima-raffica-di-salo-sabato.html

e in: 

http://members.xoom.virgilio.it/marivan53/fatti.htm#Gli irriducibili fascisti pistoiesi della Valtellina


Questo articolo è riproducibile, del tutto o in parte, avendo però cura di citare chiaramente l'autore e le fonti.  


Scocciante, ma necessario e doveroso "avviso ai naviganti": anonimi estensori della voce "Storia di Pistoia" su Wikipedia, hanno dal 2007 in poi ampiamente "saccheggiato", inserendoli pari-pari e senza virgolette in quella pagina (ed in particolare nei capitoli "La genesi", "La marcia su Roma" e "Gli irriducibili della Valtellina"), questi miei articoli sul fascismo pistoiese precedentemente comparsi sulla rivista "Microstoria": Carlo O. Gori, Figure del fascismo pistoiese. Una città che non seppe esprimere figure forti in "Microstoria", n. 16 (mar.-apr. 2001); Carlo O. Gori, La “marcia su Roma” di un fascio diviso. Pistoia presidio fascista sulla Porrettana, in "Microstoria",  n. 25 (set.-ott. 2002); Carlo O. Gori, Gli irriducibili fascisti pistoiesi della Valtellina. Le vicende di Giorgio Pisanò e degli altri fedelissimi del regime, in "Microstoria", n. 33 (gen.-feb. 2004) e successivamente riprodotti da me stesso sui miei siti web (marivan xoomer virgilio) e blog (historiablogori.splinder.it e goriblogstoria.blogspot.com). Li ringrazio per la fiducia, ma l'hanno fatto senza citare le fonti:  il sottoscritto, la rivista o i blog da cui essi li hanno tratti