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martedì 13 novembre 2012

Carlo O. Gori. Politica. 1967-69: “repubblica conciliare” pistoiese, prematura e discussa anticipazione del “compromesso storico"



Una Repubblica Conciliare nella Pistoia del 1967-'69


Il Presidente della Provincia di Pistoia, il socialista Vincenzo Nardi fino ad allora a capo di una giunta minoritaria di centrosinistra, aprì seduta del 17 dicembre 1968, con questa affermazione: “la dichiarazione programmatica che ho l'onore di fare è frutto della elaborazione di una commissione della DC, del PSU e del PCI”. Nasceva così ufficialmente la cosiddetta “repubblica conciliare” la cui portata, forse anche al di là delle stesse intenzioni dei protagonisti che indubbiamente ne intuivano l'eccezionalità, ebbe subito rilievo nazionale. Un esperimento politico, di lunga  gestazione e breve vita, clamoroso ed inconsueto per periodo in cui si svolse perché per la prima volta in Italia dal 1947, seppur a livello di governo locale, cadeva la pregiudiziale anticomunista e democristiani, comunisti e socialisti, tornavano a collaborare nella gestione della cosa pubblica. Si era nel clima della contestazione studentesca del ’68 ed alla vigilia dell’ “autunno caldo” operaio del ’69, ma tutti i maggiori quotidiani e periodici italiani, spesso con le loro migliori firme, come ad es. quella di Vittorio Gorresio su «La Stampa» di Torino, dovettero occuparsi anche di Pistoia che, come gran parte della “provincia” italiana, aveva fino ad allora vissuto in modo un po’ attutito gli echi delle grandi svolte che si andavano profilando in seguito ad eccezionali eventi di portata internazionale, non ultime le “aperture” giovannee del Concilio Vaticano II. In sostanza la città si trovò, forse suo malgrado, proiettata nel ruolo per lei inconsueto di “laboratorio politico”.
Infatti il discusso e singolare accordo pistoiese fu trovato soprattutto perché, nel pur positivo trend dell’economia locale negli anni che avevano fatto seguito al “miracolo” industriale italiano, incombevano due gravissimi problemi pratici: il più grave riguardava la SACA, cooperativa di trasporti pubblici nata a Pistoia nell'immediato dopoguerra e operante anche nelle province di Lucca, Massa e Firenze, dichiarata in procedura fallimentare per un forte dissesto finanziario dovuto ad un lungo e sfortunato contenzioso con la Lazzi; l’altro problema concerneva la più importante industria pistoiese, la Breda, il cui continuo stillicidio di personale faceva paventare la liquidazione, malgrado le Partecipazioni Statali ne avessero più volte promesso il rilancio. La positiva soluzione di questi problemi, visto il quadro politico locale, non poteva prescindere dalla governabilità di Comune e Provincia che poteva essere assicurata solo dall' impegno di un ampio arco di forze politiche.
Ma vediamo per sommi capi di riassumere la lunga e complessa vicenda. L'avvento dei governi di centrosinistra (DC-PSI-PSDI-PRI) ed il conseguente processo di unificazione socialista (PSI+PSDI) finì per mettere in crisi nel 1967, sotto la spinta dell' “uomo forte” della socialdemocrazia pistoiese, il potente on. Antonio Cariglia,  la tradizionale collaborazione fra PCI e PSI a livello locale. Caddero le giunte monocolori PCI (fino ad allora sostenute dall'esterno dal PSI) al comune (sindaco Corrado Gelli) ed alla provincia (presidente Luigi Nanni), ma mentre la prima venne poi salvata in extremis dagli stessi socialisti,  la giunta provinciale fu definitivamente affossata (11.9.67) e sostituita (25.9.67) da una giunta minoritaria di centro-sinistra capeggiata da Vincenzo Nardi. Il socialista Nardi, figura prestigiosa della Resistenza pistoiese ed integerrimo democratico, si rese ben presto conto di non poter governare se non facendo appello alla collaborazione del PCI, e dopo alterne vicende di scontri e lunghi mesi di trattative, il capogruppo Beragnoli, rispose (30.12.67) annunciando in consiglio il voto favorevole dei comunisti, vista la necessità di evitare la gestione commissariale,  avvertendo, però, che si aspettava in un futuro ravvicinato la costituzione di una “nuova maggioranza” di cui doveva far parte il suo partito. Ormai la giunta comunale comunista era condizionata dall'approvazione socialista, mentre la giunta provinciale di centro-sinistra era condizionata dall'approvazione comunista.
L'inedita intesa tra DC, PCI e PSU era praticamente avviata, anche se ufficialmente il patto non sarà sottoscritto che nel dicembre dell'anno successivo.
Una nuova crisi tuttavia sopravvenne nel corso del 1968, soprattutto in seguito agli effetti locali del cattivo esito elettorale del neonato Partito Socialista Unificato alle politiche di quell'anno, e dopo lunghe e complesse trattive si arrivò finalmente e ufficialmente alla  soluzione “conciliare” che vide il comune sostenuto dall'esterno dal PSU e dalla benevola astensione DC e la provincia di centrosinistra sostenuta dall'esterno dal PCI mediante il famoso “accordo programmatico” che impegnava i tre partiti a permanenti consultazioni ed ad una collaborazione qualificante volta alla difesa delle autonomie locali, dell'occupazione ed allo sviluppo economico provinciale. I principali effetti pratici di tali trattative ed accordi avevano nel frattempo già visto la felice conclusione della “questione SACA”, con il Consiglio provinciale promotore del Consorzio Pistoiese Trasporti-COPIT (costituito, inizialmente, da rappresentanti della Provincia e del Comune capoluogo) e successivamente vedranno l'avvio a definitiva soluzione della “vicenda Breda” con un nuovo stabilimento ed un ampio piano di sviluppo progettati e garantiti dalle Partecipazioni statali. Principali protagonisti dell'intesa e di questi suoi positivi risultati furono uomini di sincera fede democratica e di buona volontà come i DC Alberto Turco, Luciano Stanghellini, Vittorio Brachi, Florio Colomeiciuc, Angiolo Bianchi, Delio Chiti e Giovan Carlo Iozzelli, i comunisti Spartaco Beragnoli, Franco Monti, Vasco Mati, Luigi Filippini e Sergio Tesi, i socialisti Nardi e Luigi Franconi. La “repubblica conciliare” fu soprattutto un accordo politico-amministrativo e contingente, tuttavia si caricò strada facendo (o fu caricato principalmente a livello nazionale) di significati politici ben più ampi. In sede locale trovò il sostegno soprattutto dalla composita corrente dorotea della DC, ma venne fieramente avversato dalla destra di quel partito e dai fanfaniani. Anche l'ala carigliana del PSU, come, ovviamente, i liberali e le destre  ne furono strenui avversari paventandone il “contagio” a livello nazionale, mentre nelle ACLI e nell'area del dissenso cattolico (“Cineforum pistoiese”) ed a sinistra, nel PSIUP,  e perfino in parte della stessa base del PCI,  si vide nell'operazione  semplicemente un incontro di potere fra comunisti e cattolici.
Il direttore de “La Nazione” Enrico Mattei attaccò subito e con pervicacia  l' esperimento definendolo spregiativamente “repubblichetta conciliare”, appoggiato nella sua azione dalla stampa nazionale benpensante,  conservatrice e dal neofascista “Lo Specchio”. Anche il settimanale diocesano “La Vita”, criticando fermamente l'accordo e mortificando i cattolici che lo avevano voluto, non  brillò certo per spirito lungimirante, all'altezza delle “aperture” giovannee.
Si mossero invece a sostegno dell'iniziativa alcuni esponenti nazionali dei partiti coinvolti e giunsero a Pistoia i democristiani della corrente di “base” Galloni e Donat Cattin, i comunisti Modica e Napolitano ed il socialista Giolitti. Ben presto però l'avvento alla segreteria nazionale DC di Flaminio Piccoli (ossessionato da una possibile “spaccatura” della DC) e del fanfaniano Otello Verreschi a quella locale, determinarono la fine dell'esperienza “conciliare” pistoiese: i democristiani presenti in giunta furono via via isolati e sconfessati dal loro stesso partito e, dopo alcuni mesi di agonia, la “repubblica conciliare” pistoiese cessò quando, nella seduta del consiglio provinciale del 6 settembre 1969, a bilancio appena approvato, gli stessi furono costretti a rassegnare le dimissioni.
                                                                                                                                                                                                

       
                                



                  Carlo Onofrio Gori








Originale dell'articolo di Carlo Onofrio Gori, Questo compromesso non s’ha da fare , pubblicato sul n. 37 (lug.-ago.2004) di: “Microstoria”
  
Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore.










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                         Carlo O. Gori








1 commento:

  1. Interessante l'articolo sulla Repubblica Conciliare. Mi ero quasi dimenticata di quel lontano esperimento pistoiese di compromesso storico "ante litteram" . Auguri per il nuovo blog. Ti consiglio di mettere un link su questa pagina e non solo sul profilo.

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