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venerdì 16 dicembre 2011

Carlo Onofrio Gori. Risorgimento. Storia. Ferdinando Martini (1841-1928), intellettuale e politico toscano fra Risorgimento e "Italia nuova"


Ferdinando Martini: un conservatore ..."illuminato"

“Quando il primo d’ottobre montavamo in carrozza per andare a Monsummano, il pensiero di passar là cinque settimane mi cagionava una commozione di così acuta dolcezza, che una volta, tra le canzonature di mio fratello, gli ammonimenti di mia madre e le risa del cocchiere, sbottai in un pianto dirotto. Ma quanto amare le lacrime nuove, quando a San Martino si pigliava la via del ritorno! Tutto un singhiozzo da Monsummano a Firenze…” 
Cosi Ferdinando Martini descrive la sua infanzia in Valdinievole. Pochi uomini seppero, come Martini, conciliare spontaneamente l'impegno culturale e l'impegno civile, per questo ebbe a meritarsi l'appellativo di "uomo ariostesco" coniato per lui dal critico Guido Mazzoni. Egli fu innanzitutto un letterato che stupisce ancora oggi per la poliedrica ecletticità della sua produzione che investì i campi più diversi spaziando dal giornalismo, alla critica, dal teatro, alla narrativa, alla memorialistica, ma fu anche politico e ministro, africanista, storico del Risorgimento, bibliofilo, e tante altre cose ancora, "un uomo  - come ebbe a dire Spadolini- a cui nessun orizzonte fu negato, ma che non è possibile catalogare e rinchiudere dentro nessuna cerchia".
Ferdinando Martini nacque nel 1841 da una colta e signorile famiglia fiorentina che poteva vantare ministri, alti dignitari granducali e possedimenti in Valdinievole. Il giovane Ferdinando ebbe quindi il privilegio di poter conoscere i personaggi più in vista della Firenze del tempo e da ciò ne trasse molti insegnamenti, ma chi gli "fu maestro come gli studi regolari non seppero essere", fu soprattutto il suo precettore Tommaso Cogo. Passeggiando con lui per Firenze, Martini si appassionerà alla storia della sua città e maturerà quel senso profondo di devozione alla Toscana che unito all'amore risorgimentale per la patria "più grande" lo caratterizzerà sempre, mai però nel senso di un gretto nazionalismo, poiché la sua formazione culturale, alimentata dalla passione per i viaggi, spazierà su orizzonti europei e cosmopoliti.
Tuttavia "il suo Virgilio", fu Enrico Nencioni, colui che lo indirizzò all'amore per le letture, prima odiate, ma che sarebbero poi divenute "il continuo e il solo indisturbato godimento della sua vita". Con il suo aiuto inizia gli studi trascorrendo intere giornate nella biblioteca della villa dello zio Giulio a Monsummano. Alcune commedie recitate all'Istituto Rellini insieme ai suoi compagni e vari articoli di critica letteraria segnano i suoi esordi nell'ambiente culturale cittadino, mentre è del 1857 la sua prima raccolta di scritti in prosa "Il Giglio fiorentino". Primi passi che rivelano precocità di ingegno unite alla versatilità e varietà di interessi che sempre lo contraddistingueranno.
Nel 1862 muore il padre Vincenzo, Ferdinando scopre il dissestopatrimoniale della famiglia, ed indebitato, è costretto a disfarsi dei suoi beni dedicandosi professionalmente alla letteratura drammatica ed all' attività giornalistica. E' nel 1863 che, chiamato dall'amico Piero Puccioni, inizia a collaborare a "La Nazione". Nel 1869 accetta la nomina per la cattedra di lettere alla Scuola Normale di Vercelli, mentre nel 1871 passa ad insegnare a Pisa dove resta fino al 1872 e dove, tra l'altro, ha la rara occasione di scorgere Giuseppe Mazzini solitario pensionante della famiglia Rosselli. Prosegue anche nella sua attività giornalistica e letteraria, continua a lavorare per "La Nazione" e, occasionalmente, per la "La Gazzetta del popolo". Dal 1871 con gli pseudonimi di Fantasio e Fox pubblica i primi articoli sul "Fanfulla" un quotidiano che, nato nel 1870 a Firenze (pubblicato dal 1871 a Roma), si differenzierà dagli altri del tempo per varietà, vivacità e dignità di contenuti e che, dal 1876, si opporrà alla Sinistra.
Nel 1874, ormai gode di larga fama in campo teatrale, artistico e letterario ed è un "opinion-leader" che sa cogliere e reinterpretare le aspirazioni ed i gusti di un pubblico sempre più crescente di lettori (e di elettori!). Inizia così il suo iter politico che lo porterà a raggiungere posizioni di primo piano. Accetta infatti la candidatura che la Sinistra gli offre a Pescia per le elezioni del novembre di quell'anno e dopo intricate vicissitudini elettorali nel 1876, sotto il primo ministero Depretis entra in Parlamento (ci siederà per più di quarant' anni!). Pur militando per lungo tempo nei banchi della Sinistra parlamentare Martini sfuggirà sempre a rigide catalogazioni di appartenenza politica come, appunto, già all'inizio dimostrano i suoi rapporti col "Fanfulla". Sarà infatti sempre difficile individuare in modo determinante una collocazione politica per questo intellettuale arguto e libero. Se proprio vogliamo trovare una definizione per il suo pensiero politico, al di là dell’appartenenza agli schieramenti parlamentari, lo potremmo definire un conservatore illuminato come, ad esempio, bene ci rivela una sua lettera ad una sua amica, la signora Caterina Pigorini Beri:“Neanche io credo all’avvenire delle turbe, o alla intelligenza delle folle, ma credo, scusi, che il mondo sia piena di ingiustizie e che i socialisti, non si spaventi, vagheggino uno stato sociale più cristiano; e che cristiani non siano quei miei colleghi che rivogliono nelle scuole il parroco e la dottrina.Credo che nell’avvenire si troverà il modo di …fare meno aspre e meno gravi le disparità delle condizioni economiche. Credo che dovremo farlo noi classi dirigenti se abbiamo un po’ di cuore e un po’ di senno e un po’ di carità. …certo non lo si può fare ad un tratto [ma ] possiamo avviarlo, prepararlo, se no un giorno o l’altro ci impiccheranno e se mi impiccheranno prima di Rotschild mi dispiacerà perché l’avrò meritato meno di lui C’impiccheranno le turbe, le folle inintelligenti?   Si signora, violente, ignoranti, ma che han diritto di mangiare anche loro, a meno che uno scienziato non trovi il modo di fare loro lo stomaco diverso dal nostro. E lei che … alla scienza ci crede, può svagarsi aspettando questa scoperta…Io invece …quella scoperta non l’aspetto e vorrei che si provvedesse altrimenti. Le perdono vede un po’ tutte le sue infedeltà che mi ha fatto, ma non le perdono d’essere una così arrabbiata conservatrice”.  
Nel 1879 crea e dirige il supplemento letterario di quel quotidiano, il poi famoso "Fanfulla della domenica", primo settimanale di respiro nazionale con cui entreranno via via in contatto tutti i letterati del tempo (1879-1919) dal Carducci al Dannunzio. Nel 1881 Martini lascia la direzione del settimanale all'Avanzini e fonda "La Domenica letteraria" e poi il "Giornale per i bambini" su cui Collodi pubblica a puntate la sua Storia di un burattino, il celebre capolavoro Pinocchio.
Nel 1884 diviene sottosegretario alla Pubblica Istruzione di cui sarà Ministro nel 1892/93 durante il Governo Giolitti. La breve e travagliata vicenda di quel Governo non diede tempo a Martini di avviare il suo serio programma di rinnovamento dell' Università che, scontrandosi con consolidati interessi clientelari, prevedeva, tra l'altro, la riduzione e il rammodernamento delle sedi accademiche. Di tale coraggioso progetto rimarrà traccia in due articoli pubblicati dalla "Nuova Antologia" del marzo-aprile 1884.
La passione di erudito e la curiosità intellettuale portarono Martini, a studiare con serietà e competenza anche i problemi dell'Africa divenendone il maggior esperto parlamentare. Fu così che venne nominato Vicepresidente di una Commissione d'inchiesta inviata in Eritrea per esaminare il comportamento scorretto di alcuni funzionari governativi e che pubblicò il libro Nell'Affrica Italiana, intenso e suggestivo resoconto dei suoi appunti di viaggio. Fu poi dal 1897 al 1907 Governatore dell'Eritrea, ma senza interrompere il suo lavoro intellettuale, alternando gli studi su Giuseppe Giusti (di cui fu il maggiore storico, malgrado che, nel tempo, fra le due famiglie in Valdinievole, sembra fosse intercorso qualche dissapore) con i rapporti sulla Colonia. Di quell'esperienza ci rimangono i quattro volumi del Diario Eritreo pubblicati postumi.
Studi recenti hanno sfrondato alcuni miti, sorti prima e durante il fascismo, circa il Governatorato di Martini. Martini non fu né il salvatore della colonia Eritrea contro un governo (Giolitti) che avrebbe voluto disfarsene, né il suo valorizzatore economico, nè il colonialista "buono" particolarmente attento alle esigenze dei nativi e nemmeno il precursore dell'Impero fascista. Arrivato in Eritrea appena dopo la disfatta di Adua, Martini facendo ricorso al buonsenso di conservatore illuminato che sempre lo contraddistinguerà, salvò (e conservò) il salvabile, opponendosi alle velleità dei militari che cercavano l'incidente per riaprire sconsideratamente la partita e lasciò sostanzialmente la strada aperta per successive espansioni.
Nel 1908, ormai insofferente del suo ruolo "africano", riuscì a tornare, anche contro la volontà di Giolitti, in Italia. Per inciso tra Giolitti e Martini non corse mai buon sangue: troppo "politico" e rigidamente "piemontese" l'uno, gran signore toscano l'altro, intellettuale rigoroso e colto, ma anche ironico e disincantato, tanto da definire, ad esempio, lo statista di Mondovì come "un carabiniere travestito da guardia di pubblica sicurezza in borghese". Giolitti gliela farà poi pagare nel 1919 rifiutandosi di nominarlo senatore.
Deluso della politica e dai politici, Martini si ritira a Monsummano nella quiete della sua prediletta Valdinievole per attendere ai suoi studi ed ai suoi scritti. Alla vigilia della prima guerra mondiale torna alla politica avvicinandosi decisamente allo schieramento conservatore: Ministro delle Colonie nel Governo Salandra fu risoluto interventista. Una scelta forse dettata da spirito irredentista risorgimentale, dalla predilezione per la cultura francese, ma, concretamente motivata da mire egemonistiche verso l'area balcanica e centroeuropea. Il suo Diario 1914-1918 ci rivela, tra l'altro, che in pratica furono Martini e Salandra a decidere (a Frascati il 17 settembre 1914) l'entrata in guerra dell'Italia contro l'Austria.
I turbolenti anni del dopoguerra, l'esplodere della lotta di classe, videro la fine del vecchio sistema politico fondato sul prestigio personale sancita nelle elezioni del 1919 (tenutesi col "proporzionale"), anche in Valdinievole, dalla sconfitta degli esponenti più rappresentativi del liberalismo: Martini non venne rieletto e amareggiato tornò a vita privata. Trascorse le giornate nella sua ricchissima biblioteca raccontando cinquant'anni di vicissitudini personali (e di storia del Paese) nelle due raccolte di Confessioni e ricordi, ritenute da tutta la critica la sua opera migliore di grande memorialista. Allarmato per la svolgersi degli avvenimenti durante il "biennio-rosso", preso anche fisicamente di mira come "guerrafondaio" Martini, come del resto altri esponenti della classe politica liberale del tempo, finì per vedere nell'affermarsi del fascismo l'unico argine al "disordine" montante. Non risulta che aderisse al movimento, come il Regime dopo la sua morte volle far apparire, ma ne fu un autorevole fiancheggiatore ed il fascismo gli fu riconoscente nominandolo Senatore nel marzo 1923 e Ministro di Stato nel 1927.
Morirà a Monsummano il 24 aprile del 1928. Gli eredi vendettero la sua ricchissima biblioteca, ricca di circa 15.000 volumi e 12.000 opuscoli, giornali toscani, edizioni originali, cinquecentine, codici etiopici, alla Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia che l'affidò alla Biblioteca Forteguerriana di Pistoia di cui adorna, anche nelle sue suggestive strutture in legno, la Sala V.
                                                                                                                           
                                                        Carlo Onofrio Gori


Rielaborazione e sintesi di interventi in alcune conferenze e di vari articoli di Carlo O. Gori apparsi nel tempo sulle riviste: "Microstoria", "Camicia rossa", "Notiziario fotografico Pistoia".






Questo articolo è riproducibile, del tutto o in parte, avendo però cura di citare chiaramente l'autore e le fonti.




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